In quel pomeriggio di fine marzo 2010, nei registri del Settecento della parrocchia di S. Luca a Praiano cercammo la nascita di Crescenzo Gallo. La trovammo prima nell’indice generale [30.1], poi a pagina 60 del registro, il nome esatto era Onofrio Crescenzo [30.2], nacque il 12 marzo 1710 [30.3]. Quindi risalimmo lungo il Seicento. A quel punto scoprimmo che il padre di Crescenzo, Giuseppe [30.4][30.5], era a sua volta «filius Honofrij Gallo». Quando passammo a cercare la nascita di Honofrius, non trovammo nessuno che si chiamasse così. Pensammo: ma che stupidi che siamo, è ovvio, Honofrius è latino, dobbiamo cercare Onofrio! Poiché nelle primissime pagine, aggiunte ex post, i registri avevano un indice in ordine di nome di battesimo, andammo a colpo sicuro alla O di Onofrio e… non trovammo di nuovo un bel niente. Fortuna volle che subito prima della O viene la N, e bastò un attimo perché l’occhio cadesse sulla prima pagina della N, che era assai scarna perché erano pochi i nomi di battesimo che iniziavano per N. Ebbene, quella pagina mostrava in bella evidenza «Nofrio Gallo» [30.6]. Dunque Honofrij era, per così dire, il genitivo di Nofrio, non di Onofrio…
Nofrio sposò il 24 gennaio 1654 Vincenza Gallo, «Vingentia» nel registro dei Matrimoni [30.7][30.8]. Don Francesco Bolognino, parroco di San Luca, precisò che non c’era alcun impedimento («nulloque habito impedimento»), rassicurò che i due pur avendo lo stesso cognome non erano consanguinei in un grado non ammissibile. Testimoni di nozze furono Costantio Criscuono, Ioanne Gallo e Andrea Gallo; questi due, immagino, erano parenti di lei, non di lui.
Nofrio aveva allora 26 anni e Vincenza 16, dieci meno. Era ancora molto, troppo giovane. Aveva anche un fisico minuto, adolescenziale. Passarono mesi e mesi, e figli non ne arrivavano. La tensione in famiglia era palpabile, specie da parte di Desiata, madre un po’ ansiosa di Nofrio. Ci vollero due anni tondi perché finalmente Vincenza restasse incinta, a fine gennaio 1656.
Quando la peste arrivò a Praiano all’inizio di giugno, la ragazza era entrata nel quinto mese di gravidanza. La diffusione del morbo con la morte nel giro di due settimane dei parenti Angela, Rosolina e Disiata Gallo ebbe un impatto psicologico e fisico drammatico su di lei e su Nofrio. Quando Desiata capì la gravità del contagio e la pericolosità del male, fece recludere letteralmente Vincenza in una stanza e le impedì di avere contatti con chiunque. Il caldo, l’afa avrebbero fiaccato chiunque. Fortunatamente il fisico della ragazza, benché gracile, resistette benissimo. Spesso succede così, il contrario di quanto si tema.
Una decina di giorni prima della fine ufficiale della peste, il 22 ottobre don Bolognino poté battezzare il neonato figlio di Nofrio e Vincenza. Lo chiamarono Matteo Gaetano [30.9][30.10]. La paura cedette alla speranza, per i fedeli fu un segno della Misericordia. La festa in famiglia fu sobria, perché così vollero i due ragazzi.
Lo stesso identico giorno di due anni dopo, il 22 ottobre 1658, da questa giovane coppia nacque Thoma [30.11][30.12], Tommaso. A febbraio 1662 nacque e morì una bambina, Vittoria [30.13]; fecerono in tempo a battezzarla. Il 6 febbraio 1664 nacque e sopravvisse un’altra bambina: stavolta il suo nome «Victoria» [30.14][30.15] assunse un significato pieno.
Cinque anni dopo, il 13 ottobre 1669, nacque un terzo maschio. Lo chiamarono Giuseppe [30.16][30.17], in onore di S. Giuseppe, l’umile falegname che aveva accettato la volontà superiore del Signore. Nofrio e Vincenza, gente semplice, lo percepivano vicino e partecipe al loro intimo travaglio umano e anche al loro sentire religioso, temprati dalla sofferenza della peste mai dimenticata. Sarà il padre di Crescenzo.
Dopo sette anni nacquero altri due figli: Francesco nel 1676 [30.18] e Candida nel 1677 [30.19]. Si fermarono solo perché Vincenza arrivò a 42 anni e smise di concepire.
Nel Seicento l’assottigliamento della popolazione provocato dalla peste comportò l’abbandono di gran parte dei terreni feudali e, come ulteriori due conseguenze, provocò una desertificazione delle campagne e il crollo delle entrate feudali. Questo processo attraversò molte regioni europee, assumendo caso per caso intensità e caratteri diversi, e si intrecciò con altri fenomeni tutti negativi e distruttivi: l’insopportabile pressione fiscale degli Stati, le conseguenze della sfrenata crescita demografica che si era avuta nel Cinquecento, le spese sostenute per le guerre, i saccheggi e il brigantaggio. In Francia e in Inghilterra ciò provocò una ulteriore pressione della feudalità sui contadini ma anche, a lungo andare, il definitivo declino della stessa feudalità, a vantaggio specie in Inghilterra della media borghesia provinciale.
Nel Regno di Napoli il fenomeno provocò piuttosto una dilatazione della cerealicoltura estensiva, una malnutrizione cronica della popolazione, il fiscalismo statale, l’ampliamento del banditismo, la crescita dei prezzi, il ribasso dei salari.
Amalfi si era impoverita e aveva perso peso demografico al punto tale che vantava poco più di un migliaio di abitanti, quanto la sola Praiano. Per l’abate Pacichelli, ciò fu dovuto all’impoverimento del suolo, cosicché gli amalfitani finirono per «mendicare da altri ciò che maggiormente rilieva all’umano vitto» e dovettero emigrare verso Napoli.
Oltre ai soliti terremoti, carestie e pestilenze, comuni a tutto il Meridione, nel 1671 si registrò più a sud, a Bovalino in Calabria, anche una disastrosa invasione di cavallette, che sterminarono ogni specie di vegetazione. Il bestiame morì per mancanza di foraggio e, sempre per fame, si ebbero molte vittime tra la stessa popolazione. Numerosi bambini sotto i 6 anni furono annientati dalle privazioni. Secondo una leggenda popolare, tutta la gente, in preda alla disperazione, portò il quadro della Madonna del Rosario in processione e assistette a un miracolo: le candele accese davanti al quadro si spensero e poco dopo si riaccesero e, tra lo stupore della gente, tutte le cavallette andarono verso il mare e vi si inabissarono.
Per inciso, il 1671 fu anche l’anno in cui Papa Clemente X canonizzò Ferdinando III di Castiglia, nato nel 1201 e morto nel 1252, noto come il “re delle tre religioni”, primo re spagnolo elevato alla gloria degli altari. Posseggo un dipinto raffigurante questo re santo [30.20], probabilmente porzione di una tela più grande, databile fine Settecento, in passato proprietà di uno dei miei antenati.