Dopo i saccheggi di Amalfi ad opera dei Pisani nella prima metà del Mille Cento, la quota del commercio estero mediterraneo diminuì nel Duecento, e addirittura crollò all’1,6% a metà del Trecento. A metà Quattrocento, la conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani favorì una forte espansione turca a danno di Amalfi. La fioritura economica di Amalfi finì del tutto con la scoperta dapprima delle Antille e dell’America, poi della via marittima alle Indie; da quel momento il grande traffico mondiale fu dirottato verso il Nord Atlantico, lasciando il mar Baltico, il mare del Nord e il Mediterraneo. Alcune nazioni fecero guerra ad altre per conquistare quote del commercio mondiale. Gruppi di interesse con una mentalità post-medioevale costituirono una serie di corporazioni per imporre il protezionismo contro il commercio mondiale.
A fine Quattrocento sussistevano pertanto molte premesse per una definitiva decadenza di Amalfi sui mercati. Inoltre nel Cinquecento, mentre mercanti, armatori e banchieri genovesi parteciparono alle imprese in America di spagnoli e portoghesi, e mentre mercanti e banchieri fiorentini si affermarono in Francia, quelli di Amalfi persero la loro storica proiezione internazionale verso il Medio Oriente e non riuscirono a sostituirla con alcuna altra. Il commercio con l’Oriente, fonte dell’antica prosperità di Amalfi, passò nelle mani di francesi, inglesi, olandesi.
Il danno economico derivante da questo spostamento del commercio mondiale fortunatamente fu bilanciato nel Quattrocento da quattro contrappesi: la progressiva crescita di Napoli come immenso emporio meridionale; l’afflusso al Sud di mercanti e capitali finanziari richiamati dai Normanni dal 1130; l’industrializzazione varata dagli Aragonesi nel Quattrocento; le innovazioni connesse allo sfruttamento di energia idraulica nelle industrie estrattiva, siderurgica, tessile, in quella del legno.
Nel Cinquecento la produzione di carta, lana, paste alimentari, siderurgia, concia delle pelli esigeva l’impiego di moderni macchinari, alla portata soltanto del patriziato.
Matteo Camera scrisse che gli abitanti di Praiano e Vettica Maggiore erano riconosciuti come docili, ospitali, attivi e laboriosi, ma tutto sommato semplici. Le donne si distinguevano per la lindura delle vesti e anche per una certa grazia armoniosa. Ogni praianese era inquadrabile in una di queste quattro categorie: «benestanti, vignajuoli, marinari e mendici». I marinai erano per lo più anche pescatori nelle classificazioni fiscali, cioè nei catasti, dato che per sopravvivere svolgevano entrambe le attività. Anzi ne svolgevano più di due perché, lasciando da parte il campanilismo, i marinai pescatori di Vettica Maggiore erano soliti lavorare anche la terra di Praiano «con un piede nella barca ed uno nella vigna», e viceversa chi per lavoro prevalente coltivava la terra a Praiano, non disdegnava la marineria e la pesca.
Per gli abitanti dei piccoli paesi arroccati sulla costa, il mare restò la risorsa principale. Come nei settori produttivi, anche di pesca c’erano due modelli: una di tipo artigianale, svolta lungo le coste ed esercitata dai singoli pescatori in proprio; un’altra industriale, gestita dalle ricche famiglie patrizie di Amalfi. Fiorirono anche la pesca e l’industria del corallo. I praianesi per la verità esportavano corallo già duecento anni prima del Mille, sempre grazie all’insegnamento di una comunità ebraica.
Gli abitanti locali lavoravano anche il lino e il filo di cotone, lo biancheggiavano e lo rivendevano in tutto il Regno.
La lavorazione di Praiano con maggior pregio intrinseco era di sicuro il filo di seta sottile, ritorto, finissimo, imbiancato e lavorato dalle donne, chiamato “dobletto” o “filo amalfitano”. Era impiegato per l’orditura delle “frasche di gloria”, utilizzate nell’ornamento degli altari, molto richieste a Napoli, in Sicilia e in Puglia. Nel Cinquecento il suo prezzo sul mercato di Napoli era pari a 12 carlini la libbra.
Fabbricavano anche reti da pesca, le sciabiche, e retine per capelli. «Le donne di Praiano aiutavano l’economia familiare… le cosiddette retinare lavoravano i capelli. Lo strumento “crucella” d’estate serviva a rammendare le reti, d’inverno a intrecciare lunghe file di capelli per fare retine che servivano per lo più a contenere “i tuppi”. Le retinare di Vettica versavano la “mezza de quarto”, ovvero un quarto della metà del guadagno, alla chiesa di S. Gennaro di Vettica Maggiore.
Nel Quattrocento i Gallo di Praiano divennero importanti nel contesto della loro comunità. Come riferisce il Codice Peris, Conda Gallo insieme al marito Agostino Sorrentino vendette nel 1447 al Capitolo di Amalfi vigna con case e oliveti della località praianese denominata “A li Puthei” per 2 once d’oro. Il toponimo di questa località nella nascente lingua italiana significava “Alle Puteche”, “Alle Botteghe”, e si trovava nei pressi dello “scarricaturo”, cioè del porticciolo di Marina di Praia.
Forse erano servite nel passato come nodi logistici nel commercio mediterraneo e ora, nel Quattrocento, con la contrazione di quel commercio, “li Puthei” perdevano valore ed era meglio vendere la proprietà.