Un’altra difficile decisione fu presa dai due fratelli. Il contratto di affitto della masseria di Villanova «Il passaggio» con Sabbato Prezioso, il figlio e il genero, aveva una durata di sei anni. Era stato stipulato nel 1779 da Crescenzo, terminò il 31 ottobre 1885, più o meno in contemporanea alla sua morte. Il canone, come sappiamo, era stato pari a 200 ducati l’anno. Gli affittuari dichiararono di essere pronti a lasciare la masseria alla fine di quell’anno, dopo aver completato il raccolto dei frutti. Dimostrarono animo sinceramente addolorato per la scomparsa di Crescenzo, che per loro era stato un proprietario esigente ma competente, duro ma rispettoso per chi lavora.
Per tutto il 1786 Giuseppe e Michelangelo prorogarono l’affitto. Nel frattempo studiarono uno strumento di cessione dell’uso della masseria un po’ diverso dall’affitto, che non scadesse mai e non ponesse loro alcun grattacapo. Scelsero la “enfiteusi perpetua inaffrancabile”, uno strumento contrattuale che proprio in quegli anni si era diffuso nel Regno. L’enfiteusi è la concessione a un colono per un lungo periodo (non meno di venti anni) di terreni coltivabili, con l’obbligo da parte del colono di pagare un canone annuo. Aver scelto la formula del perpetuo significò una rinuncia a rientrarne in possesso. Tuttavia, la clausola “inaffrancabile” significava che l’enfiteuta non avrebbe potuto mai affrancare (riscattare) la masseria, non avrebbe potuto mai diventarne il proprietario, sarebbe rimasto sempre enfiteuta. Insomma, Giuseppe e Michelangelo era come se avessero deciso di vendere la masseria, ma ricevendo non un corrispettivo in un’unica soluzione bensì un canone eterno, quindi senza mai venderla definitivamente.
Ciò era coerente con il fatto che i due non avevano bisogno di alcuna liquidità, ma d’altra parte non avevano certezze di reddito futuro e, forse anche pensando ai loro eredi, preferirono l’introito di un canone annuo in eterno. Inoltre, sul mercato degli affitti si cominciavano ad avvertire avvisaglie che di lì a qualche anno i canoni avrebbero potuto flettere e, dunque, un contratto di enfiteusi perpetua a un canone soddisfacente rappresentava una certezza per sempre. L’affare mostrava aspetti sicuramente interessanti.
Il rischio che i due non conteggiarono, piuttosto, era che un improvviso capovolgimento della fortuna avrebbe potuto privarli del canone di enfiteusi, senza aver nemmeno introitato il corrispettivo di vendita. Ricordiamoci che la masseria era stata comprata nel 1773 per 4.537 ducati e nel 1785 era stata stimata in 6mila ducati.
Dopo una trattativa durata gran parte del 1786, Giuseppe e Michelangelo scelsero quale miglior colono enfiteuta un tale Crescenzo Morra. A quel punto il conduttore uscente Andrea Prezioso, figlio di Sabbato che nel frattempo era morto, incaricò a proprie spese Andrea Aletto «odierno console de Giardinieri» a elaborare una perizia giurata delle piante in quel momento esistenti nella masseria, e il colono in pectore Crescenzo Morra parimenti incaricò Lorenzo Ragnaniello «giardiniero esperto della Regia Azienda di Educazione». Dal confronto tra il risultato della perizia di questi due [64.1][64.2] e l’inventario compilato nel 1779 emerse un buon incremento sia del vigneto che dell’agrumeto, una crescita di pioppi, pigne, frutti selvaggi e fichi, una riduzione solo di castagni selvatici, ciliegie (cerase) e celsi [64.3].
I due fratelli Gallo non avevano una cultura sufficientemente ampia e moderna per apprezzare le visite a Posillipo compiute nel 1786 da un giovanotto vestito in modo stravagante, un certo Jakob Philip Hackert, il quale faceva il pittore un po’ ribelle, arrivava con blocchi di carta, matite di ogni genere, anche la tavolozza, e si metteva a ricopiare gli alberi della masseria. Diceva che apprezzava la tradizione paesaggistica locale e con altri suoi tre amici pittori stranieri (Vernet, Volaire e Kniep) voleva cambiare il modo di dipingere, dagli ambienti interni e chiusi alla natura all’aria aperta. Hackert anticipò la scuola di Posillipo e più in generale la scuola verista napoletana dell’Ottocento. Fu nominato pittore personale da re Ferdinando IV e fu tra i ritrattisti di Emma Hamilton, la bellissima giovane moglie dell’ambasciatore inglese a Napoli.
Il 26 gennaio 1787, nella loro sede in Sedile di Porto, alla presenza del notaio Massa, Giuseppe e Michelangelo firmarono un contratto di enfiteusi [64.4]. Tennero inoltre per sé la disponibilità di due stanze, per andarci e soggiornarci a piacere: il colono e i suoi eredi avrebbero dovuto «sopra la detta massaria… darli il commodo di due stanze per lo spazio di giorni venti e non più ogni volta che volessero starvi. E ciò senza contribuzione alcuna, atteso con tale riserba essi signori D. Giuseppe e D. Michelangelo si sono indotti alla presente concessione e non altrimenti».
Il canone fu stabilito pari a 210 ducati all’anno, un 5 percento più dell’affitto del 1779, da pagare metà a fine ottobre di ogni anno e la restante metà a fine gennaio seguente. Il colono non avrebbe potuto «dimandare alcuno escompoto, diminuzione, ó difalco… così per cagione di tremuoto [terremoto], peste ó guerra / il che Iddio non voglia / che per altro qualsiasi impedimento…».
Il rendimento annuo lordo del capitale investito in quel momento era pari al 4,6% (210 ducati di canone su 4.537 ducati di investimento).
Un mese dopo la firma di quel contratto di enfiteusi, il pomeriggio del 27 febbraio, si presentò Goethe che voleva visitare il posto. Rimase entusiasta e in una sua lettera scrisse: «Siamo andati verso sera nella grotta di Posillipo, quando appunto il sole cadente vi penetrava dall’opposto lato. Io perdonai a tutti coloro che son rimasti ammaliati alla vista di Napoli, e mi sovvenni, con emozione, di mio padre, che ricevette una indelebile impressione di quello appunto ch’io vedevo oggi per la prima volta». Il giorno dopo, Goethe andò a far visita al pittore Hackert e questi poi gli fece un ritratto.