cap 45

Un insuccesso talvolta può determinare per sempre i limiti di crescita professionale di un giovane. Nel caso di Crescenzo, invece, ne rafforzò il carattere, l’amor proprio, la meticolosità maniacale profusa nel curare i dettagli, nel garantire la qualità, ne potenziò se mai ce ne fosse bisogno la grinta nel rispettare le scadenze e soprattutto nello spuntare le migliori condizioni al termine di trattative estenuanti per la controparte di turno. Lo temprò e lo indurì per sempre, nella professione di maestro dell’Arte della seta, ma anche nella vita privata, nella ristretta sfera familiare. Questa trasformazione caratteriale non fu in contrasto con l’amore verso la moglie e la dedizione ai figli.
Crescenzo si specializzò nei drappi di seta, tessuti con filati sottili, damascati e ricamati con fili d’oro e d’argento secondo disegni indicati dal cliente. Con quei filati che da tanti decenni erano prodotti dalle famiglie di Praiano. I tessuti broccati, secondo Nicoletta D’Arbitrio, furono il frutto di innovazioni tecniche sperimentate e introdotte dalla fine del Seicento fino ai primi decenni dell’Ottocento, e rappresentarono veri e propri prototipi, nel campo sia dei filati che dei tessuti. Per questi motivi, quelli concepiti fino ai primi anni del Regno di Carlo di Borbone sono da considerare addirittura preziosi e rappresentano testimonianze indispensabili, uniche per ricostruire il percorso stilistico dell’arte tessile in Italia. Una pubblicazione di Diodato Colonnesi sui tessuti in seta, argento e oro dell’Istituto Mondragone di Napoli ne mostra alcuni del 1743, ai primi passi di Crescenzo [45.1][45.2].
Nella tessitura Crescenzo faceva osservare regole tutte molto importanti; ricordava d’altra parte quanto veniva insegnato a scuola alle lavoranti: «da una tela ben ordita nasce la bontà, e la facilità di tessire bene un drappo. Obbligo dell’orditrice pertanto sarà non solo di ordire la tela a tenore degli ordini del Sotto Direttore, che gli ha ricevuti immediatamente dal Direttore; ma benanche di ordirla bene e di far che la tela sia ordita tutta ad un fiato quando sia possibile».
Nella catena del valore, altro elemento strategico era il rapporto con i fornitori. Crescenzo passò anni a selezionare i migliori, per far ciò allargò i suoi contatti, anche e soprattutto al di fuori di Napoli, andando lui stesso a esporre nelle maggiori fiere del Regno. Alla fine strinse un’alleanza con un fornitore di fili d’oro, tale Nicola Pascale, un «tiraloro mercante» di Lucera, borgo medioevale distante 20 chilometri da Foggia. Come visto all’inizio di questo racconto, nel capitolo 7, i fili d’argento dorati prodotti dai tiraloro, seppur meno durevoli e meno pregiati di quelli in oro pieno prodotti dai battiloro fiorentini, avevano un prezzo più alto perché erano più richiesti sul mercato, erano più alla moda. E Crescenzo sapeva intercettare con grande prontezza le dinamiche della domanda di mercato.
Fin dall’inizio del Seicento il borgo di Lucera era stato rinomato per la fiera e questa, nonostante pestilenze e carestie, divenne la massima espressione dell’attività commerciale della città. La fiera si teneva due volte l’anno: dal 1° al 15 marzo (Fiera della Quarantana) e dal 1° al 15 novembre (Fiera di tutti i Santi). Lucera si trasformò così in un grande emporio, tanto che vi giungevano mercanti da ogni parte d’Italia: Verona, Brescia, Bergamo, Venezia, Milano, San Severino, Cascia, Napoli, Cava dei Tirreni, Benevento. Alla fiera si potevano comprare drappi di seta policroma, panni ultrafini neri e verdi dorati, saya drappata di diversi colori, corduane, panni di fiandra, panni di velluto nero, giallo, paonazzo e bianco; raso verde; damasco giallo e «tanda robba de oro e de seta lavorata». La zona della fiera comprendeva numerose botteghe, diverse taverne, fondachi e stalle. Le botteghe erano dislocate un po’ dappertutto sia nella strada principale della fiera («strada de li merciai») sia nelle zone adiacenti. Le botteghe erano per lo più di proprietà dell’Universitas cittadina e di enti ecclesiastici; nei giorni di fiera venivano date in affitto ai numerosi mercanti provenienti dalle più svariate città italiane, che le usavano come moderni stand fieristici. Anche un Nicola Pascale senior, omonimo antenato del fornitore di Crescenzo, ne possedeva una decina; una volta ne fittò una a Marino Crisconio, mercante di Venezia di origine e cognome amalfitani.
Naturalmente, il tiraloro Pascale ricambiava spesso le sue visite a Napoli. Il 16 settembre 1749 [45.3][45.4], per esempio, definì con Crescenzo il pagamento di una fornitura di fili d’oro e d’argento: «davanti alla Corte della nobile Arte della Seta compare Crescenzo Gallo che spontaneamente promette e si obbliga a pagare a Nicola Pascale ducati [cifra illeggibile] e grana 79 e mezzo da lui dovuti in vigore di partita vista e firmata da quello di sua propria mano… in ragione di 15 carlini all’anno a cominciare dal prossimo e così continuare fino all’estizione del debito, con l’intesa che in caso contrario il creditore possa rivalersi sui suoi beni mobili e immobili. Io Crescenzo Gallo mi obligo ut supra. Io Nicola Pascale mi contento ut supra. Io Francesco Monica sono testimonio».
Seguirono per Crescenzo anni di lavoro duro e frenetico. Continuò a tenere rapporti con la comunità praianese a Napoli e talvolta integrò la produzione di tessuti di seta sottile con filati di lana. D’altra parte, una tipica lavorazione pregiata dell’epoca consisteva nel prendere una seta tessuta, ridurla in fili e intrecciarla con altre fibre tessili, come fili di lana e di lino, di argento o di oro. Il 26 settembre 1750 a Crescenzo furono pagati «ducati diecisette, e per lui a D. Gennaro Merolla a saldo e final pagamento di ducati 67.4.18 atteso il di più li ha da lui ricevuti di conto, e sono in estinzione, saldo e final pagamento di lettere esecutoriali dal medesimo contro di lui spedite per la Corte della Nobil Arte della Lana» [45.5][45.6].
I drappi di seta prodotti da Crescenzo migliorarono in qualità ma soprattutto in quantità. Perché il fatturato vero si fa con le quantità. Un singolo lotto poteva contenere anche dieci drappi: «D. Crescentio Gallo ducati undeci et per lui a D. Carmine Giordano, e sono per saldo di tutti li loro presenti drappi 10 di sete vendutoli con poliza [equivalente a un loro presenti drappi 10 di sete vendutoli con poliza [equivalente a un assegno bancario], biglietto e partita di libro e lettere esecutoriali spedite dalla nobil’Arte della seta, con il sudetto pagamento resta saldato e sodisfatto di tutti li conti passati sino a 29 maggio 1758» [45.7][45.8].
Crescenzo pagava i fornitori e incassava dai clienti attraverso due canali bancari. Il primo, ufficiale e di impiego generale, utilizzava il delegato dell’Arte della seta e quindi anche i conti bancari della stessa corporazione. Era per questa ragione che le «lettere esecutoriali» venivano spedite dall’Arte della seta. Il secondo canale, saltuario e molto più privato, utilizzava un conto intestato a Crescenzo presso il Banco di S. Eligio. Alla fine del Cinquecento, l’antica “Opera Pia di Sant’Eligio al Mercato” governava importanti istituti di beneficenza, dalla chiesa all’ospedale, al conservatorio. Nel 1592, i capi dell’Opera Pia compresero che la gestione di un banco pubblico sarebbe stata preziosa per l’attività. Così nacque il Banco di Sant’Eligio; alcuni sportelli aprirono nel quartiere di Napoli dove più vivace era il movimento commerciale.
Nel corso del Cinquecento, in particolare negli ultimi dieci anni, a Napoli erano già nati allo stesso modo altri cinque banchi pubblici: Monte della Pietà, Monte e Banco dei Poveri, Banco Ave Gratia Plena (poi fallito nel 1702), Banco di Santa Maria del Popolo, Banco dello Spirito Santo, Banco di S. Giacomo e Vittoria. Nel 1640, si era infine aggiunto il Banco del Salvatore.
Il Banco di S. Eligio consentì ai mercanti, in particolare a quelli dell’Arte della seta, di regolare agevolmente i loro rapporti di affari grazie ad un più comodo uso della cosiddetta fede del credito [surrogato della moneta]. La sede del Banco stava all’angolo di piazza Mercato, dal lato di via Nuova Marina, in direzione della odierna via Duomo.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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