Nel 1740 Crescenzo scalpitava già. Aveva trent’anni, era venuto da Praiano dove suo padre, suo nonno, i Gallo della costa avevano sempre occupato livelli sociali preminenti e agiati, da dominus già nel Mille Cento fino a magnifico a fine Seicento, si erano avvicinati alla nobiltà più volte per affari ma, per ragioni storiche e per le caratteristiche geo-politiche di quel versante della costa amalfitana, erano rimasti estranei alla corte reale.
Crescenzo si sentiva competitivo con quei francesi famosi scesi a Napoli, voleva dimostrare tutta la sua bravura, il sapere ereditato da generazioni, educato nell’applicazione, sperimentato su piazza negli ultimi dieci anni. Scalpitava soprattutto perché intuiva che le fabbriche francesi avrebbero impiegato parecchio tempo prima di riuscire a mettere a punto tutte le condizioni operative indicate dal Supremo Magistrato di Commercio e lui voleva batterle sul tempo. I francesi incontrarono in effetti parecchie difficoltà; per esempio al signor Troullieur nel 1739 occorsero ben quattro mesi perché «gli ordigni e le tinture delle sete non erano né gli uni né le altre perfette secondo il bisogno».
Nella sua baldanza giovanile Crescenzo non aveva previsto, però, che anche per lui le prime prove sarebbero state durissime. E così fu. All’inizio arrivò qualche insuccesso. La delusione fu cocente.
Per esempio, il 28 novembre 1740, il giovane sig. Felice Pedone, noto «maestro sartore», commissionò a Crescenzo «una veste di Donna di seta color amaranto con fiori; ed argenti d’angeli in gloria di canne sei, ed un’altra canna dell’istessa qualità, e più ricca per Sciaberghino, di peso onze dieci à canne con tutta la tara». A conti fatti, dunque, la stoffa necessaria all’abito più il giubbetto misurava 18 metri e mezzo e pesava un chilo e 871 grammi. Le parti concordarono una consegna molto ravvicinata: «io sottoscritto Crescenzo Gallo Tessitore di drappi per convenzione avuta con il signore Felice Pedone, prometto, e m’obbligo di fare frà il termine di giorni quindici da oggi» la veste anzidetta «in conformità di quel che detto Felice Pedone haue osservato sopra il telaro, che si trova detto Drappo già principiato, e questo per convenuto prezzo di docati quaranta uno, cioè le suddette canne sei alla ragione di Docati sei meno un’quarto la canna, e la suddetta altra canna del Sciamberghino per ducati sette».
Il termine dei 15 giorni a partire dal 28 novembre indicava che l’abito da donna avrebbe dovuto essere confezionato subito dopo il 13 dicembre, per essere verosimilmente indossato nel corso delle festività del Natale 1740.
L’entità della somma che un committente, a conferma dell’ordine, versa in acconto sul prezzo di un prodotto su commessa dipende dal grado di specializzazione del prodotto stesso, in quanto deve minimizzare il danno per il produttore nel caso in cui il committente non ritiri più il prodotto e non paghi più il saldo, e il produttore non trovi più a vendere ad altri lo stesso prodotto perché troppo specialistico. Normalmente l’acconto va da un 20 a un 30 o un 40%. In quel caso, invece, Pedone versò a Crescenzo un acconto pari a 31 ducati su 41 pattuiti, esattamente il 75%; una percentuale dunque altissima, a dimostrazione dell’alto grado di specializzazione e del rischio corso dal tessitore: «dichiaro io suddetto Crescenzo aver ricevuto ed avuto dal detto Felice ducati Trent’uno de contanti, e li restanti Docati dieci complimento del detto prezzo, prometto io suddetto Felice pagarli al detto Crescenzo subito, che m’averà consegnato detto drappo nella maniera di sopra convenuto, e stabilito».
Gli angeli in gloria raffigurati nella decorazione della veste erano non molto dissimili da quelli dipinti da un allievo di Pietro da Cortona quarant’anni prima.
La commessa fu regolata con un atto sottoscritto dalle due parti dinanzi al notaio Nicola Marciano di Napoli, a riprova del fatto che la commessa era molto importante [44.1][44.2]. Si trattava non di un vero e proprio rogito, bensì di un «albarano valituro, come se fosse pubblico instrumento vallato, e roborato con le clausola di costituto, e precario, pena, renunza, giuramento… Restando però fermo il presente per nostra cautela, e per osservanza di tutte le cose suddette, obbligamo le nostre rispettive persone, nostri eredi e successori, e ben tutti presenti e futuri, con dette clausole… e perciò avemo rinunziato e giurato». L’albarano era una scrittura privata sottoscritta dal committente e dall’artigiano.
Nel caso di quella veste da donna, l’albarano conteneva una serie di garanzie sia per il committente, sia per il tessitore: «e mancandosi da me suddetto Crescenzo di consegnare al detto Felice le suddette canne sette di Drappo della maniera di sopra stabilito in fine de suddetti giorni quindici da oggi, ò che quello non fosse della qualità di sopra convenuto, e secondo si ritrova già principiato à tessere che in oggi si ritrova già complita una canna in ciascuno de casi sudetti, non solo sia io suddetto Crescenzo tenuto restituire al detto Felice li suddetti ducati trent’uno, come sopra anticipatamente ricevuti, ma anco sia lecito al detto Felice detto Drappo comprare da altri a qualsivoglia maggior prezzo di sopra convenuto à tutti danno, spese, ed interessi di me suddetto Crescenzo; E caso che detto Drappo riuscendo della qualità e maniera, che si ritrova già principiato, ma però meno di onze dieci la canna di peso con tutta la tara, in tal caso sia io suddetto Crescenzo tenuto bonificare al detto Felice carlini tre per ogn’oncia mancante delle suddette dieci»; «li restanti docati dieci complimento del detto prezzo, prometto io suddetto Felice pagarli al detto Crescenzo subito, che m’averà consegnato detto drappo nella maniera di sopra convenuto, e stabilito. Per la consecuzione de quali cessandosi della consegna di detto Drappo, come sopra possa essere io suddetto Felice essere astretto in ogni Corte, luogo, e foro con via esecutiva, e senza termine… E così per contro riuscendo detto Drappo di maggior peso prometto e m’obbligo io suddetto Felice pagarne il prezzo di esse al detto Crescenzo carlini tre per ogni onza di più che riuscisse detto Drappo delle suddette onze dieci la canna; quale drappo debbiate essere di tutta bontà, qualità, e senza prosema, come parimente caso che da me suddetto Felice si ricusasse di ricevere detto drappo, essendo però quello della bontà, e qualità di sopra descritto, e di tutta perfezione, sia in tal caso lecito al detto Crescenzo detto drappo vendere ad altri à qualsiasi minor prezzo di sopra convenuto à tutti danni spese, ed interesse di me suddetto Felice dichiarando, che della presente conventione, senh’è da noi formato altro Albarano, e ricevuta di Docati inconto del suddetto prezzo quale essendosi disperso col presente comparendo, li danno per cassi, irriti, e nulli, e di nessun vigore, senza che faccino fare, giudizio fuori».
Quella volta Crescenzo, che era alle prime armi, non riuscì a rispettare gli impegni assunti. E ne pagò le conseguenze in termini di penali pecuniarie. Un mese e mezzo dopo Natale, il 10 febbraio 1741, «Davanti ad Antonio Quirola Console della Corte della nobile arte della seta… si costituiscono i Magnifici Crescenzo Gallo e Nicola de Sio Maestri tessitori di drappi di Seta e si obbligano a pagare in beneficio del magnifico Felice Pedone presente ducati trentauno e once trentacinque» [44.3]. Nicola de Sio era in questo affare socio di Crescenzo.
In questa circostanza infausta, il 10 febbraio 1741, Crescenzo Gallo è citato con l’appellativo di «Magnifico» ed è «maestro tessitore di drappi di seta». Per quanto riguarda l’appellativo, ne conosciamo l’origine, il significato, l’uso. Quanto al maestro tessitore, ciò comprova quanto già detto, e cioè che la successiva iscrizione all’Arte della seta, a giugno del 1742, fu una regolarizzazione che nella sostanza delle cose non modificò la qualifica di artigiano di alto livello.