cap 43

Tra il 1700 e il 1720, nel periodo turbolento di Filippo V di Borbone, pian piano si era diffusa a Napoli la nuova moda francese, molto diversa da quella del Cinquecento e del Seicento, quando in Francia il colore degli abiti di corte era nero come segno di distinzione della classe elitaria.
Quando Carlo di Borbone arrivò nel 1734, anche alla Corte di Napoli si affermò “le Grand habit de Cour à la francaise”. Nei primi ritratti del giovane re, i suoi abiti erano fatti di stoffe broccate in oro, tessute dal francese Boucharlat, con decorazioni “rocailles” (conchiglie) che riecheggiavano le pietre usate per abbellire padiglioni da giardino e grotte. Dalla combinazione delle due parole “rocaille” e “barocco” derivò il termine “rococò”, con cui fu definita in Francia l’evoluzione del tardo-barocco nella prima metà del Settecento. Il rococò amava le curve naturali e si affermò nelle arti, nella moda, nell’arredamento e nella produzione di oggetti. Si distinse per l’eleganza e la sfarzosità delle forme, per le ondulazioni ramificate in riccioli e lievi arabeschi floreali.
I primi ritratti del giovane re Carlo furono inviati in tutte le province del Regno di Napoli, per propagare l’immagine del sovrano e per diffondere i nuovi tratti stilistici.
Oltre che dal tessitore Boucharlat, la squadra di stilisti del sovrano era composta dal «Capo del Guardarropa» Andrea Munez, da quattro «sartori» (Donato Seully, Pedro Ignazio Duelli, Pietro Codardi, Saverio Barra) e da numerose cucitrici, lavandaie, stiratrici. L’abito maschile era fatto di sete broccate, ricami in oro e merletti. Era composto da una giacca lunga al ginocchio, chiamata in Francia “justaucorps” e a Napoli “giamberga”. Quella indossata da Crescenzo al matrimonio di Francesco Antonio il 5 gennaio 1734 era un’anteprima non sfarzosa. La giacca era aderente fino in vita, poi si ampliava e formava pieghe sui fianchi; rimaneva aperta per mostrare il lungo gilet, chiamato a Napoli “giamberghino”, fatto di tessuto broccato e arricchito con ricami. Le maniche erano strette, con ampi paramani decorati da bottoni metallici.
La squadra della regina era non da meno: era composta dalla «Inventora de modas» Luisa Ruel, dalla sarta Anna Boucharlat, da un parrucchiere e da un calzolaio. Nel 1759 la regina Maria Amalia di Sassonia, lasciando Napoli per seguire il marito divenuto re di Spagna, come raccontò Vanvitelli e riportò Strazzullo, regalò gran parte del suo «Guardarobba alle Cameriste», cioè alle sue cameriere: «Ve n’è stata una, la sua più favorita e meritevole, alla quale gli sono toccati trenta abiti per sua porzione, e fra questi molti che ànno costato tesori, perché ad ogni abito, oltre qualche canna di robba che di più sempre à per costume di provedere, oltre avanzi di più guarnizioni, o sian d’oro o argento, ovvero di finissimi merletti d’Inghilterra, invece di galloni d’oro e argento, ad ogni abito vi sono i finimenti, di scuffie palatine, manichetti, fiori et altro etc., di modo che questo riparto è stato assai magnifico e ricco; ad altre cameriste di minor portata, nove e dieci abiti per cadauna con li consimili finimenti gli è toccato, e se ne chiamano sfortunate, quando che chiunque Dama non ne averà né in qualità né in quantità».

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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