Il 18 luglio 1708 ci fu un ennesimo drammatico assalto di pirati saraceni sulla costa di Praiano. Come riportata nel volume “L’Italia nell’antica cartografia” di Roberto Borri, una preziosa carta disegnata quattro anni prima, nel 1704, raffigura la costa [38.1]. Una commissione composta dal sindaco Giovanni Irace e dai consiglieri comunali Pietro Palma e Costantino Merolla chiese al notaio Carlo Gallo di certificare le modalità dell’avvenimento e le relative responsabilità. Il notaio stabilì che nella notte del 18 luglio, prima del sorgere del sole, due navi corsare erano arrivate dalla punta della penisola sorrentina, dietro le isole dei Galli; erano state avvistate da tutte le torri disposte lungo quel percorso, perfino da quelle di Positano; e tutte avevano sparato per avvertire del pericolo; tutte, tranne le torri di Vettica Maggiore e quella di Praiano, che non si erano difese per nulla, evidentemente perché i torrieri erano assenti, con la conseguenza che le due navi corsare erano riuscite a catturare due pescherecci dell’isola di Procida. Solo troppo tardivamente, quando ormai i corsari erano tornati a una distanza fuori tiro, dalla torre a Mare erano stati sparati un paio di colpi dalle sorelle del torriero. Ed erano stati sparati tanto maldestramente da recare danni gravi.
Su un libro vidimato di suo pugno nel 1707 [38.2], il notaio così scrisse [38.3]: «Die Primo Octauo mensis Iulis millesimo septingentesimo octauo in Regia Terra Prajani status Amalphi Adhienses… m. Ioannes Irace sindicus, et m. Petrus Palma, et Constantus Merolla electi dicta Unitatis Prajani, Vettice Maioris…», «questa mattina dieci d’otto del corrente mese allo spuntare dell’alba sono comparsi due legni di Corsari Nemici da sotto Li Galli, uno de quali ha dato caccia ad una tartana di Procida, che haue presa e l’altro legno nemico ha dato similmente caccia ad un’altra tartana di Procida, che steua da fuori lo scoglio dell’Isca di Prajano un miglio distante dalle Torri di Grado ed Amare, e similmente l’haue presa; e fra questo mentre, e verso tre hore di notte di detta questa mattina tutte le torri de Li Galli, Campanella, e per insino alle Torri di Positano hanno di continuo fatto segni di fuoco, sonare le trombe, e sparare botte, eccettuatene le quattro Torri di detta nostra Unita di Prajano, e Vettica Maggiore, et in particulare quella di Grado e questa d’Amare, che tengono due famosi Pezzi d’Artegliaria per ciascuna Torre, e non hanno curato ne di notte, ne di giorno, ne di mattina fare li soliti segni di fuoco, e sparare, sincome hanno fatto tutte le suddette accennate Torri de Li Galli, Campanella per insino a Positano, per la quale causa e notoria mancanza di detti Torrieri, et in parte il Torriero della Torre di Grado, o il Torriero della Torre d’Amare sono stati causa e motivo di fare, che detto legno nemico auesse fatto preda di detta tartana di Procida da fuori lo suddetto scoglio della Isca di Prajano uno miglio distante dalle dette Torri di Grado, e d’Amare con molto danno del padrone e marinari di detta tartana di Procida, e con uno scandalo Unte, mentre questo caso essendo stato successo di mattina ad hore undeci, e vicino è stato da tutti i cittadini osservato: doppo che il detto legno nemico s’era allontanato fuori assai colla suddetta presa, e staua in salvataggio, è venuto il Torriere alla detta Torre d’Amare che prima non v’era ne Torriere, ne soldato, poiche se ci steuano il Torriere, e soldato alla Torre, e hauessero fatto il loro douere, lo legno nemico non s’approssimaua con tanta franchezza a terra, e dare oltre detto Torriere d’Amare ha sparato due botte al sproposito, e per apparenza; similmente ne lo Torriero, ne soldato vi stauano alla Torre di Grado per lo che le sorelle di detto Torriero di Grado doppo che detto legno nemico colla suddetta presa era fuori sicura, che non c’arriuaua ne meno uno Candone di galera per dare colore al mondo hanno sparato uno pezzo d’artegliaria e perche non erano prattici hanno fatto rompere la Capria di detta artegliaria; si che dette nostre Torri nelle Congionture più tosto apportano danno alla Corte, et al pubblico, che Utile mentre consumano il Peculio Reale, e poi con si poco attenzione attendono al sera da S.M. che Dio guardi, et al pubblico con fare sbaragliare e danneggiare inconsideratamente. Le munizioni militari e pezzi d’artegliaria: la perche detto fatto è stato pubblico. Pertanto essi m. Giovanni Irace sindico, Pietro Palma e Costanzo Merolla eletti espressamente non una ma cento volte si protestano contro detti quattro Torrieri di detta Unita de Prajano e Vettica Maggiore di detta loro notoria mancanza e danno fatto a dette torri, con rappresentare il tutto a piedi di legittimi Sig. Superiori per rimediare e castigare simili inconvenienti».
L’8 febbraio 2011 la petroliera italiana Savina Caylyn, nave della società armatrice dei fratelli D’Amato di Napoli, 226 metri di lunghezza, 105 tonnellate di stazza, con un carico di greggio e con equipaggio formato da 22 uomini, dei quali tre di Procida, era partita dal porto di Bashayer e viaggiava verso Pasyr Gudang in Malaysia. Si trovava nell’oceano indiano a 880 miglia dalle coste somale. Erano le prime luci dell’alba. Dopo aver abbandonato una loro nave madre, cinque pirati a bordo di una barchetta a vela, tanto piccola da sfuggire ai radar, abbordarono la petroliera italiana; tre di essi vi si arrampicarono, gli altri due restarono sulla barca e cominciarono a sparare colpi di pistola e razzi con gli Rpg a spalla. Poiché la petroliera era carica di greggio, sarebbe bastato un nonnulla e si sarebbe trasformata in un immenso rogo. I pirati ebbero la meglio e sequestrarono carico ed equipaggio. La nave fu condotta dai pirati lungo la costa somala e furono avviate le trattative per il riscatto, ma furono interrotte perché il divario tra la richiesta (14 milioni di dollari) e l’offerta (7,5 milioni) era eccessivo.
Andò meglio al mercantile italiano Rosalia D’Amato, catturato il 21 aprile 2011 al largo dell’Oman. A bordo c’erano 21 marittimi, di cui 15 filippini e sei italiani; di questi uno di Procida, uno di Vico Equense e il terzo di Meta di Sorrento. Furono liberati il 25 novembre 2011, dopo che un piccolo aereo di una compagnia specializzata nel “lancio del danaro dal finestrino” aveva fatto arrivare ai pirati il malloppo del riscatto, pervenuto poco prima dall’Europa. Non so se il marinaio di Procida, un allievo ufficiale di macchina, conoscesse i tre più sfortunati della Savina Caylyn, ma certo non poteva immaginare che trecento anni prima altri connazionali avevano avuto una sorte molto drammatica.
Del resto l’anno prima, nel 2010, erano stati registrati 445 attacchi, 49 navi catturate, 1.181 ostaggi, un fatturato stimato tra 50 e 80 milioni di dollari.
La pirateria si basa sulla negazione di ogni autorità costituita e opera in un contesto, quello delle acque internazionali, che è sottratto alla sovranità degli Stati e che per questa ragione è impossibile da governare. La globalizzazione da un lato contribuisce a ridurre la sovranità degli Stati, dall’altro implica un aumento fortissimo degli scambi internazionali e, quindi, l’attraversamento di quelle acque. Perciò, negli anni Duemila, con la globalizzazione è rinata la pirateria.