Tra i vari figli di Carlo e Nuntia, della vita di Beatrice non trovai altre tracce oltre al battesimo. Di Faustina invece i registri parrocchiali dicono che a meno di vent’anni sposò Gregorio di Rocco e nel 1631 ebbe il primo figlio, Francesco [26.1][26.2]. Forse il terzogenito di Carlo e Nuntia, Gio:Frãcesco, quello nato nel 1604, morì giovane, poco prima del 1630, a 25 anni circa e forse fu proprio per questo che il 10 marzo 1631 Faustina chiese al marito Gregorio di poter mettere al loro primo figlio il nome del fratello morto l’anno prima. Non ci sono elementi certi per affermare questa cosa, ma che a un neonato fosse dato il nome di uno zio da poco scomparso era una tradizione che ricorreva molto spesso nella storia della famiglia Gallo, fino all’Ottocento. Più precisamente, il figlio di Faustina ebbe il nome Francesco, senza il prefisso Gio:. Forse è un segno che era cominciata la lenta scoloritura di S. Giovanni quale patrono di Praiano. Faustina e Gregorio ebbero almeno un altro figlio, Thomas, nato nel 1637 [26.3].
Minico, secondogenito di Carlo e Nuntia, nato sei mesi prima della fine del Cinquecento, visse il bene e il male del Seicento. Si sposò a Natale del 1625, a ventisei anni [26.4]. Prese in moglie una ragazza ventenne con un nome bellissimo: Desiata, con la “e”, desiderata. Lei apparteneva alla famiglia Merolla ed era di Vettica Maggiore. Siccome suo padre Giovanazzo era morto anni prima, Desiata fu accompagnata all’altare da un fratello. Il matrimonio fu celebrato nella parrocchia di S. Gennaro di Vettica Maggiore.
In precedenza, altre due donne della famiglia Merolla, più grandi di età rispetto a Desiata, avevano sposato uomini della famiglia Gallo: Andreella si era unita a Crescencio e Lucretia era andata in sposa a Gio:Iacono.
Nonostante la contiguità di Praiano e Vettica Maggiore, il fatto che le due famiglie fossero una di un posto, l’altra dell’altro, qualche elemento di novità e perplessità lo introdusse di sicuro. Minico e Desiata decisero di vivere a Praiano.
Il circolo virtuoso vissuto da Carlo e Nuntia a fine Cinquecento era fatto di lavoro, pagamento di gabelle, risparmio, investimento privato nel potenziamento delle case di famiglia, finanziamento collettivo più o meno volontario di opere di consolidamento delle chiese. Quel circolo virtuoso proseguì nel Seicento con ancora maggiore spinta e con un’integrazione solidaristica, assicurativa e previdenziale: in molte parrocchie furono fondate istituzioni benefiche, “monti” o “confraternite”, che prelevavano dal reddito di lavoro di ciascun socio un canone e lo destinavano a sostenere finanziariamente i confratelli e le loro famiglie in caso di morte o in caso di cattura di uno di loro a opera dei turchi, ovvero lo destinavano a costituire la dote per le figlie in età da matrimonio.
Per esempio a Minori nel 1624 furono fondati il “Monte dei padroni di barche, marinai, pescatori e pescivendoli” e il “Monte dei pescatori cannucciari”, cioè dei pescatori con la canna e la lenza; questo secondo monte fu fondato nello stesso anno anche ad Amalfi e ad Atrani. Nel 1638, furono fondati a Praiano il “Monte dei marinai e pescatori” e poco dopo quello “dell’Arte del lino”. Ad Amalfi furono costituiti il “Monte dei cartai”, quello “dei lanaioli” e uno “dei doganieri”. A Scala uno “dei mercanti dei panni di lana”. A Cava uno “per l’Arte della seta”. Questo fenomeno dimostra la propensione della gente della costa amalfitana dell’epoca alla laboriosità, alla gestione oculata delle risorse raggranellate e a investimenti immobiliari o previdenziali e finanziari di grande respiro innovativo e sociale.
L’attività commerciale era controllata per conto del governo da un mastro Portolano. Lo sviluppo degli scambi nei primi anni del Seicento fu tanto forte che il mastro nel 1625 nominò due aiutanti, i Portulanoti, dei quali uno a Praiano. In cinquant’anni i fuochi a Praiano passarono dai 153 esistenti nel 1595 (anno prima del matrimonio di Carlo e Nuntia) ai 278 del 1648 (anno dopo la rivolta di Masaniello); aumentarono dunque di ben l’80%. Dunque un vero e proprio boom sia demografico sia edilizio, conseguenza e causa della crescita economica della costa amalfitana; boom edilizio simultaneo a quello che si verificò nella città di Napoli.
Nella prima metà del Seicento la politica fiscale del Regno di Napoli divenne oppressiva, con l’imposizione sempre più frequente di gabelle “una tantum”. Queste contribuzioni straordinarie venivano anche chiamate “donativi” ed erano motivate dalle circostanze più varie e strane. Tanto per fare qualche esempio: nel 1605 il donativo fu motivato per sovvenzionare le fanterie spagnole di passaggio, tra il 1617 e il 1640 per mantenere soldati a cavallo e capitani di guerra, nel 1635 per abolire la tassa sulle meretrici considerata odiosa.