cap 99

Torniamo sul fronte di Frattamaggiore. L’ultima volta che ce ne siamo occupati era l’inizio di gennaio del 1851, quando l’avv. Salvati era stato surrogato quale Amministratore giudiziario a Francesca Cogna, a sua volta in precedenza surrogata al Primo Educandato Regina Isabella Borbone; era stato pubblicato sul Giornale del Regno delle Due Sicile un lungo avviso, preparato alla vigilia di Natale 1850 dal banditore Giuseppe De Roma per annunciare che il 20 gennaio avrebbe avuto luogo un’aggiudicazione preparatoria di 59 diritti immobiliari relativi al Circondario di Frattamaggiore. Quell’avviso conteneva molte imprecisioni lessicali, lacune e dimenticanze inammissibili: «Sui cennati canoni pegnorati gravita il peso di un annuo canone… dovuto al Primo Educandato Maria Isabella Borbone. S’ignora la vera origine, e la vera estensione del dritto medesimo non conoscendosi il titolo dello Educandato. Oltre di detto peso, s’ignora se ve ne sieno altri; e s’ignora pure quali sieno i titoli da cui sorge la proprietà dei debitori espropriati pei canoni… S’ignora se dall’epoca del pignoramento fin oggi sienvi state variazioni nei nomi dei debitori dei canoni». Insomma, anche noi profani ci siamo resi conto che c’erano tutte le premesse perché qualcuno commettesse gravi errori amministrativi.
Ebbene, il disordine e l’inconcludenza procedurale proseguirono a valanga per decenni, con tempi biblici. Innanzitutto, come abbiamo visto, l’amministratore giudiziario Salvati morì a metà degli anni Sessanta. Inoltre, il liquidatore commise alcuni errori nel determinare la scadenza dei succanoni (sub canoni), cioè dei canoni dovuti ai Gallo dai subenfiteuti. Per chiarezza, ricapitoliamo: il Primo Educandato Regina Isabella Borbone e anzi, per essere più precisi, i Reali Educandati femminili di Napoli nati dall’unione tra il Primo e il Secondo Educandato Isabella Borbone (l’ex Educandato di San Marcellino dove aveva insegnato il canonico Giovanni) erano il «dòmino diretto»; i Gallo erano enfiteuti e dovevano corrispondere un canone annuo al dòmino; poi c’erano una sessantina di subenfiteuti che dovevano corrispondere ai Gallo altrettanti succanoni. L’importo complessivo dei succanoni era naturalmente superiore al canone dovuto dai Gallo agli Educandati. Ciascuna subenfiteusi aveva una propria scadenza, per cui occorreva una continua attenta e complessa amministrazione per rinnovare e aggiornare i subenfiteuti e i relativi succanoni. Nel corso degli anni, poi, alcuni fondi erano stati aggiudicati, gli aggiudicatari erano subentrati pro-quota nell’enfiteusi dei Gallo e magari alcuni non gli avevano nemmeno pagato il prezzo di aggiudicazione. Come il banditore a Natale del 1850 si era dimenticato un sacco di cose, analogamente nel corso degli anni il liquidatore perse il conto dei subenfiteuti. Molti occupavano i fondi e non pagavano nulla ai Gallo, né agli eredi del marchese Girolamo Mascaro i quali erano risultati tra gli aggiudicatari di alcuni fondi, e gli stessi Gallo e Mascaro a loro volta non pagavano più il canone agli Educandati. Un gran pasticcio.
Il 1° aprile 1878 ci fu un giudizio di omologazione dello stato di graduazione dei subenfiteuti. Nel 1881 vennero a scadenza alcune annualità di canone. L’anno seguente i Reali Educandati intimarono un avviso amministrativo ai Gallo affinché pagassero 374 lire. Il 19 gennaio 1883 Pasquale, Michele, Pietro e Marianna si opposero. Il 16 dicembre 1885 la Terza Sezione del Tribunale Civile di Napoli diede loro torto e li condannò alle spese [99.1].
Nell’appello presentato assieme al barone Raffaele Garofalo, figlio ed erede della duchessa Carolina Mascaro, i Gallo dimostrarono che, «malgrado le più diligenti ricerche eseguite…, non è tornato possibile rinvenire le partite e i nomi dei succanoni» e come prova di ciò presentarono un «certificato di usciere»; sostennero che queste ultime informazioni dovevano semmai avercele i Reali Educandati femminili; che loro Gallo avevano il diritto di rinunciare all’enfiteusi e volevano rinunciarvi. Con questa richiesta, i Gallo dichiaravano di voler abbandonare il patrimonio tanto sconsideratamente conquistato dal loro nonno Michelangelo 65 anni prima, nel 1818.
La Corte di Appello di Napoli nel maggio 1887 sentenziò che: l’enfiteusi non era rinunciabile; ma certamente, se fosse stata accertata l’impossibilità a individuare i subenfiteuti, si sarebbe rescissa automaticamente l’enfiteusi tra Educandati e Gallo-Garofalo; per accertare la situazione, officiò perito l’ingegner Alfonso di Gennaro e gli diede un termine di quaranta giorni.
Il perito incontrò difficoltà terribili. Chiese e ottenne una proroga di cinquanta giorni. Il 23 giugno 1888 presentò la sua relazione [99.2] alla 3a Sezione della Corte di Appello di Napoli, con tanto di mappa catastale [99.3]. Il presidente della Corte gli riconobbe un onorario pari a 875 lire e 60 centesimi. Il perito ricostruì che ai Gallo facevano ancora capo 20 subenfiteuti, possessori di 23 fabbricati o porzioni di fabbricati. In un solo caso non seppe trovare alcuna informazione. Ai Garofoli e Mascaro facevano capo 23 subenfiteuti, possessori di 32 fabbricati o porzioni o bassi. Per ciascun subenfiteuta fornì il nominativo e il domicilio. La perizia fu depositata il 13 luglio 1888 e l’11 agosto ne fu spedita copia al processo.
Dai loro venti subenfiteuti i Gallo avrebbero dovuto esigere chissà quante annualità di succanoni, questo nessun perito avrebbe potuto accertarlo, e d’altra parte avrebbero dovuto corrispondere ai Reali Educandati femminili di Napoli molte annualità di canone.
Nonostante ogni sforzo, non riuscii ad accertare come finì la vicenda processualmente. La Corte d’Appello non emise alcuna ulteriore sentenza. Sotto la mia pressione, gli ottimi funzionari dell’Archivio di Stato di Napoli cercarono in ogni scaffale, ma non trovarono alcun elemento di certezza. L’unica cosa certa fu che quei fondi di Frattamaggiore in enfiteusi sparirono dalla storia della famiglia.
Contemporaneamente, si verificò uno strano fenomeno, calò sulla famiglia un duplice velo di oblio: un primo oblio storico generale e un secondo soggettivo familiare. Eppure, in quel momento Pasquale aveva 73 anni, Michele 68, Pietro 64, Marianna 62. I figli di Michele (Maria Grazia, Alberto, Enrico) avevano un’età sufficiente a fargli ricordare queste cose per tutta la vita. Il più piccolo, Enrico, aveva dieci anni.
Il primo oblio derivò dall’unità d’Italia e dalla propaganda dei Savoia che imposero di dimenticare il passato borbonico di Napoli e del Mezzogiorno, quasi fosse motivo di vergogna. Il secondo derivò dalla totale perdita del patrimonio immobiliare di famiglia costruito nei primi decenni dell’Ottocento, e questa fu motivo di vergogna per non essere stati capaci di difendere gli investimenti degli antenati. La sovrapposizione degli effetti di questi due fenomeni causò un’autocancellazione definitiva della memoria, cosicché Enrico da grande non sapeva, aveva rimosso i fatti, salvo dire genericamente che «il padre si era mangiato tutto». Un po’ poco e storicamente incompleto.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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