Sotto le macerie di pignoramenti ed espropriazioni forzate, le tre sorelle Caterina, Giuseppa e Tommasina [93.1] rimasero nubili, ma non si fecero monache bizzoche. Segno della modernità dei tempi. Al di là di normali screzi, vissero vicinissime, quasi come gemelle, dando affetto e sostegno nel corso dell’Ottocento alle famiglie dei fratelli Michele e Pietro. Teresa [93.2] da giovane trovò marito, prima che scoppiasse la crisi familiare, e uscì di scena. Anche Pasquale [93.3] non si sposò mai. L’ultima, Mariannina, crebbe invece vittimista, litigiosa, capricciosa. Ma si sposò. Il marito si chiamava Andrea Benenato [93.4]. Fu per lei al tempo stesso vittima ed elemento di stabilità umorale. Tutti i fratelli ebbero verso Marianna sempre un atteggiamento concessivo, pur di non litigarci.
Francesca Cogna, pur rimasta vedova e impegnata, anzi logorata, su tanti fronti, fu così brava da far studiare dopo Giovanni anche Pasquale, Michele e Pietro. Pasquale studiò legge e fece l’avvocato [93.5]; Pietro si laureò e fece l’ingegnere-architetto [93.6][93.7]. Viste le vicende immobiliari e giudiziarie della famiglia, i due fratelli non avrebbero potuto fare studi più complementari e coerenti di quelli scelti. Di Michele parleremo tra un attimo.
Una seconda riflessione è che in questo modo i due fratelli concorsero all’aggiornamento del carattere borghese dei Gallo di Praiano. Nel 1799 la famiglia non era ancora borghese nel senso moderno del termine, era conservatrice e cattolica. O, forse, al contrario, era proprio borghese, perché così era anticamente la borghesia meridionale: possidente, cattolica e conservatrice. Con Giuseppe, Michelangelo e Matteo si era evoluta, o piuttosto involuta, dalla tessitura nell’antica Arte della seta di Crescenzo all’attività commerciale di Giuseppe e Michelangelo, al post-industriale dell’immobiliare di Michelangelo, infine al credito commerciale estero di Matteo. Con Pasquale e Pietro, la famiglia borghese divenne moderna. A metà Ottocento a Napoli c’erano 2.460 avvocati e patrocinatori e 511 architetti.
Non credo che Francesca Cogna fosse lucidamente consapevole del proprio ruolo storico, ma in fin dei conti scelse di consumare l’ingente patrimonio per consentire ai figli maschi di studiare e affermarsi professionalmente. Trasformò censi, affitti e rendite post-feudali del Settecento in moderna capacità di reddito da lavoro dei figli maschi nell’Ottocento. Fu un formidabile ponte verso la modernità.
Inoltre, dei dieci figli di Matteo, solo uno (Giovanni) intraprese la vita religiosa; dunque, nell’Ottocento l’incidenza scese a 1/10 (10%) contro i 2/7 (29%) della famiglia di Crescenzo nel Settecento e i 2/8 (25%) di quella di Michelangelo a cavallo dei due secoli.
Alla morte del padre Matteo, nel 1833, Michele aveva tredici anni; alla morte della madre Francesca aveva 28 anni, si era laureato in architettura ma non faceva la professione. Non si era sposato; restò scapolo fino al 1865. Da un lato gli mancavano la forza, la fiducia, l’ottimismo per farsi lui una sua famiglia; la rovina patrimoniale lo aveva fiaccato. Dall’altro, l’opulenza in cui era cresciuto con cavalli, carrozza, abiti eleganti e costosi, la frequentazione della Napoli bene, i modi, la signorilità come si diceva allora, lo avevano viziato; non capì che la crisi finanziaria era strutturale e permanente. Michele aveva sempre la sensazione che a un certo punto la sorte potesse tornargli favorevole. Gli eventi avversi, che alla lunga stroncarono Giovanni, stimolarono una capacità di reazione seria, operosa e composta da parte di Pasquale e di Pietro, e invece fiaccarono Michele. Ognuno reagisce in un modo nella vita.
Michele fu tra i primi ad adottare nel 1857 la moda della “giacchetta a sacco”, corta, a linea diritta, una sola fila di bottoni, un gilet e i pantaloni (così in quegli anni cominciarono a chiamarsi i calzoni) della stessa stoffa della giacca. Portava baffi sollevati all’ungherese con l’aiuto del “fixateur”, cravatta piccola a farfalla, di seta nera.
Sottoposi anche una firma di Michele [93.8] alla grafologa, come sempre senza influenzarne l’analisi. Questo il profilo: «Bisogno di valorizzazione che spesso permette di portare a compimento grandi progetti proprio perché ha grande coscienza del proprio valore, anche se talvolta si può celare una grande inquietudine dovuta ad incertezze interiori. Ha un’intelligenza rapida, adattabile, flessibile, la sottolineatura con paraffo verso destra che torna a sinistra significa l’ambizione, la propensione ad evadere, ma l’ancor più forte legame al passato da cui si viene. L’angolosità della firma è sintomo della determinazione, dell’indipendenza e di uno spirito spesso intransigente. La G a chiocciola è significante di chi vuole piacere risultando amabile, inoltre è rigoroso, orgoglioso e pignolo. Nel periodo in cui firma trapela però un affaticamento interiore, un dispiacere, determinato dall’assenza di rigonfiamenti negli allunghi superiori».
Ferdinando II re delle due Sicilie, quello che inaugurò il treno Napoli-Portici, nel 1849 bombardò Messina in risposta alla rivoluzione indipendentista siciliana che aveva fatto seguito ai moti del 1848. Con ciò determinò una frattura politica tra Napoli e la Sicilia. Negli anni Cinquanta il re finì con mettere da parte le idee progressiste e l’atteggiamento tollerante avuto negli anni Trenta e nella prima metà degli anni Quaranta dell’Ottocento. Accentuò il suo isolamento dopo aver subìto un attentato nel 1856.
Ai primi di luglio del 1857 in città si venne a sapere che Carlo Pisacane, nobile napoletano, formatosi nel collegio militare della Nunziatella, divenuto consigliere militare di Giuseppe Mazzini, poi entrato in contrasto con Garibaldi, aveva tentato con una pattuglia di uomini uno sbarco rivoluzionario a Sapri, era stato accolto male dalla popolazione locale e si era ucciso.
Queste rivoluzioni non facevano granché piacere ai Gallo, che avevano tante controversie con i Borbone da non poter aggiungere altra carne al fuoco. Perciò, per fastidio e prudenza, in famiglia lasciavano le vicende risorgimentali sullo sfondo dei loro discorsi.
A casa si discuteva piuttosto con chi trattare per salvare, del patrimonio immobiliare ereditato da Matteo, almeno e innanzitutto il palazzo di S. Maria Antesaecula 112 dove la famiglia abitava. L’amico giovane e facoltoso più disponibile a ragionare e ad aiutare i Gallo era Salvatore Salvati, nato nel 1817, avvocato come Pasquale, quello che nel 1850 era stato surrogato a Francesca Cogna nella procedura di vendita di Frattamaggiore e che nel 1853 era andato in Comune a denunciare la morte del canonico Giovanni.
Re Ferdinando II morì nel 1859, a 49 anni. Gli succedette il figlio Francesco II, sposato con Maria Sofia di Baviera, sorella di Sissi, moglie dell’imperatore Francesco Giuseppe. Da quel momento, il clima politico e sociale cambiò in modo chiaramente percettibile anche a Napoli, perché il nuovo re tornò alle idee liberali e progressiste che avevano animato il padre all’inizio del regno, ma lo fece nella fase storica più sbagliata per i Borbone perché, quando i rivoluzionari penetrarono a Napoli, il nuovo governo non era preparato a usare il pugno di ferro.
In ogni modo, il Regno sopravvisse con alterne incertezze un paio d’anni finché nel 1861, dopo la conquista della massima parte del suo territorio ad opera di quelli che si facevano chiamare i Mille, dopo l’entrata trionfale di Garibaldi a Napoli all’inizio di settembre 1860, le ultime fortezze borboniche di Messina, Civitella del Tronto e Gaeta si arresero ai piemontesi.