Anche sul terzo fronte, quello della masseria di Posillipo, il 24 marzo 1849 fu affisso un ordine di vendita giudiziale forzata [92.1] di cinque delle sei porzioni che per 80 ducati annui erano state pignorate dal «signor Marchese d’Acerno D. Antonio Mascaro» in danno dei figli ancora viventi di Michelangelo, cioè il Sacerdote Marco e poi Luca, Maria, Rosa, Maddalena, e di quelli di Matteo, cioè il Canonico Giovanni e poi Caterina, Giuseppa, Tommasina, Pasquale e i minori Michele, Pietro, Marianna. Altre porzioni erano state pignorate dai fratelli Gaudiosi, che abitavano in via S. Maria Antesaecula 112 e occupavano i pochi spazi lasciati liberi dai Gallo.
Antonio Mascaro, marchese d’Acerno, faceva parte dei camerieri d’onore di spada e cappa della cosiddetta Famiglia Pontificia di Pio IX, ultimo sovrano della storia dello Stato pontificio, eletto nel 1846, proclamato beato nel 2000. Mascaro andò a ingrossare, chissà perché, le fila dei creditori dei Gallo.
Il Giornale del Regno delle Due Sicile nel N. 71 di sabato 31 marzo 1849 [92.2] pubblicò a pag. 286 l’avviso che il seguente 16 aprile si sarebbe proceduto all’incanto preparatorio delle cinque porzioni sulla base di un’offerta di 1.600 ducati. Il valore della masseria al momento della donazione di Crescenzo ai figli nel 1785 era stato stimato in circa 6mila ducati. Il canone enfiteutico complessivo concordato da Michelangelo e Giuseppe nel 1787 con l’enfiteuta Crescenzo Morra era stato pari a 210 ducati.
Nella stessa pagina del giornale c’era una deliziosa pubblicità: «Panetteria e pasticceria francese. Piazza S. Ferdinando N.° 52 [Napoli]. Si previene il pubblico che in questo magazzino trovansi vendibili, e della migliore qualità Pani francesi, tedeschi di tutte forme, inglesi per Thè, pasticceria di ogni sorta, fior di farina, farina di Mais. Non v’è alcun altro deposito di questa panetteria; per evitare le contraffazioni, i paccotti di farina sono suggellati e portano, come pure la carta per involgere le pasticcerie, il bollo della casa».
Sullo stesso numero del 31 marzo 1849, in prima pagina c’erano alcune importanti «Notizie interne», la più fresca delle quali era datata Torino 23 marzo ed era attribuita al Ministro dell’Interno sabaudo Rattazzi. Diceva: «a Novara è concentrato l’esercito, animoso aspettando dal suo generale l’ordine di assalire il nemico; a chi altro cercasse d’insinuare, non prestate fede. Quando arriveranno altre notizie, saranno immediatamente pubblicate. Serbate questa serenità d’animo che sola può farvi pari alla grandezza della causa che abbiamo preso a difendere. Il governo ha già rapidamente provveduto ai bisogni presenti, e preparato i mezzi di provvedere alla contingenze future». Il Giornale però non fece in tempo a uscire di stampa che di lì a poche ore, proprio a Novara il 23 marzo 1849, Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II.
Il 1° giugno 1849 si svolse l’aggiudicazione definitiva [92.3] delle cinque porzioni in enfiteusi della masseria di Posillipo. Fu adottato il metodo dell’asta con la candela vergine. Poiché dopo aver acceso e consumato tre candele, non pervennero offerte esterne alle proposte già presentate nell’incanto preparatorio di marzo, il 20 luglio il Tribunale dichiarò aggiudicatario Stefano Russo, figlio ed erede di Alessandro Russo enfiteuta dei cinque canoni, al prezzo di 1.600 ducati che andarono a soddisfare i creditori.
Quando scoprii a chi era andata a finire gran parte della masseria di Posillipo, fui preso dalla voglia di mettermi in contatto con qualche suo discendente, mio contemporaneo. Il 13 marzo 2012 cercai su paginebianche.it qualche Russo abitante a Villanova, a Napoli. Trovai una certa Giulia Russo. Le telefonai, mi presentai, dissi che ero un professore di Roma, che stavo facendo uno studio e volevo sapere se lei abitava in un appartamento o in un’antica villa. Mi rispose: «No, io pago mille euro al mese!» e riattaccò. Poverella, non c’entrava niente, avevo sbagliato.
Queste vicende a metà dell’Ottocento colpirono i Gallo ben al di là della negatività delle conclusioni giudiziarie. Dopo la morte di Francesca Cogna, la famiglia perse un altro importante esponente: Giovanni, il canonico, morì nel 1853. Aveva 49 anni. Il 24 febbraio, alle sei del pomeriggio, Giovanni morì di crepacuore, nel senso letterale del termine: “angoscia profonda, dolore morale struggente”. Nell’orazione funebre i suoi colleghi scrissero: «non si scorò, ma con volto dimesso se ne riportava al voler di Dio». Ecco, il povero Giovanni era mite ma anche represso per dignità, accumulò tanto dolore nel petto che il suo cuore crepò.
Morì nella sua casa di S. Maria Antesaecula 112 e il parroco l’annotò il giorno stesso sul registro [92.4]. A fare la relativa comunicazione all’ufficiale dello Stato Civile del Circondario Stella [92.5] del Comune di Napoli furono Ambrogio de Magistris, proprietario, e l’avv. Salvatore Salvati, quello che tre anni prima era stato surrogato a Francesca nella vendita dei canoni di Frattamaggiore e che, in questo incarico, si avvaleva di Giovanni Cinque, già patrocinatore dei Gallo. Salvati infatti era un grande amico della famiglia Gallo.