Come dice il volume I del Codice Perris alle pagg. 171 e seguenti, il 25 novembre 1112 il dominus Costantino, appartenente ai de Gallo di Atrani, vendette alcune botteghe di sua proprietà lungo il litorale della città di Amalfi alla nobile amalfitana Anna da la Lama, figlia del fu dominus Leone figlio del fu dominus Niceta de la Lama, e della fu domina Mansone figlia del fu dominus Muski (o Musco). Dalla vendita ricavò 80 soldi d’oro, pari a 320 tarì, una somma di una certa importanza. L’atto fu curato dal protonotario Leo figlio di Urso. Anna da la Lama versò il corrispettivo della compravendita a Costantino Gallo solo dopo aver a sua volta venduto un’intera eredità in località Pigellula a un tale Johannes per 260 soldi («solidos») d’oro di tarì.
Questo episodio del 1112 si verificò prima della nascita del Regno delle due Sicilie a opera dei Normanni, nel 1130, prima quindi che i regnanti favorissero l’arrivo di burocrati e mercanti da Venezia, Genova, Pisa; e si verificò 25 anni prima del secondo saccheggio di Amalfi a opera dei Pisani (1137). Costantino Gallo dunque viveva in piena Repubblica marinara.
Tornando al 1269, anno in cui Ligorio e Pietro Gallo di Atrani erano «aforis ista terra», da tempo i sovrani avevano smesso di allestire una propria flotta militare permanente e completa, e di mantenerla nelle sedi di Palermo e Napoli. Preferirono decentrare il servizio e affidare ai baroni la costruzione di navi e la gestione stagionale di ciurme. In cambio, i sovrani li lasciavano liberi di disarmare il naviglio fuori stagione, di convertirlo a usi commerciali, riportarlo negli arsenali privati nei principali porti dei mari Tirreno, Jonio e Adriatico, da Gaeta a Ischia, a Sorrento, ma soprattutto ad Amalfi e Positano. Le spese per il mantenimento delle ciurme venivano compensate fiscalmente. I vantaggi di questo sistema di outsourcing ante litteram erano molti: il naviglio era sempre pronto e la spesa dello Stato era inferiore. La marineria veniva sottoposta a un Capo denominato Protontino, o capitano. Non meno importante era il Còmito o “contra patrone”, primo dei sottufficiali, il nostromo, l’uomo di fiducia. Il còmito era eletto dalla Università locale, poi approvato dal grande ammiraglio e infine confermato dal sovrano che gli conferiva il privilegio.
Nel 1269 Carlo I d’Angiò, re di Sicilia e di Napoli, nominò còmito Bartolomeo Gallo, come dice Camera nel vol. I alle pagg. 526 e 527. Dunque nello stesso anno 1269, mentre ad Atrani esistevano Ligorio e Pietro Gallo mercanti in viaggio, ad Amalfi c’era Bartolomeo Gallo còmito, primo sottoufficiale di marineria militare. Cercai di appurare se Ligorio e Pietro fossero parenti mercanti navigatori di Bartolomeo marinaro militare, ma non cavai un ragno dal buco.
Sulla costa amalfitana gli ultimi capaci di raggiungere le più note e importanti mète commerciali del Levante furono gli operatori della seconda metà del Trecento, tre secoli dopo la colonia amalfitana di Costantinopoli. Ligorio, Pietro e Bartolomeo vissero nel Duecento, dunque operavano ai tempi della mercatura di lungo raggio, sia pure nella relativa fase discendente. Che fossero «aforis ista terra» significa appunto che visitavano mercati lontani.
Trovai pure che nel 1269 Pietro Gallo era presbiter e Giovanni de Gallo chierico della Chiesa amalfitana.
A Minori si costituì una famiglia Gallo di origine popolana e di estrazione «mediocre», distinta da quelle precedenti. Il primo documento che ne parla risale all’età normanna. Caterina Gallo, figlia di Sergio, aveva sposato Gregorio de Cunarene; nel 1176, ormai vedova, possedeva insieme al figlio Clemenzio e alla nuora Sorania Malardo, una terra selvosa con canneto nel sito Pumecara di Minori del valore di 120 tarì siciliani, pari a 200 tarì amalfitani.
Nella prima parte del Quattrocento, Raimondo Gallo di Maiori costituì una società mercantile con Giacomo Conciano di Fiume Freddo in Calabria. Doveva essere probabilmente parente dei Gallo di Minori; la famiglia era passata da un impegno di tipo agricolo a interessi mercantili.
Negli ultimi venticinque anni del Quattrocento, un tale Antonio Gallo era colono del monastero benedettino maschile di S. Maria de Olearia di Maiori, in nome e per conto del quale gestiva un bosco a Minori per la produzione di legna.
Nella seconda metà del Cinquecento, quindi in epoca vicereale, due membri della stirpe dei Gallo erano rispettivamente testis e presbiter a Minori.
Non so perché, ma non riconoscevo come miei antenati neanche questi altri Gallo.