Quando scoprii dal Registro delle matricole dell’Arte della seta che Crescenzo era di Praiano, quanto tempo feci passare prima di trovarmi un albergo e correre laggiù? Sì, lo confesso, pochissimi giorni. Prenotai una camera d’albergo e cercai sul sito Pagine Bianche il numero di telefono della parrocchia di Praiano. Chiamai il parroco, fu gentilissimo, mi aspettava a braccia aperte.
Arrivai una notte di fine marzo del 2010 in auto con mia moglie Silvana Noviello sotto un autentico nubifragio, passando da Sorrento e Positano. Da questa angolatura, Praiano era immersa in una nuvola di pioggia. Nonostante i tergicristallo al massimo, non riuscivamo a vedere al di là di una decina di metri. Cosa pericolosissima, perché le curve della strada statale amalfitana SS. 163 sono strettissime e, sotto la pioggia battente, arrivavano improvvise davanti al parabrezza. Sembravano non finire mai.
La mattina dopo, in una insperata giornata di sole splendido, ci presentammo da don Pio Bozza [11.1], parroco di S. Gennaro, quella che avevo trovato essere la parrocchia di Praiano. Ci accolse con grande cordialità, ci mostrò e ci donò un certo numero di volumetti sulla storia di quella parrocchia che citavano «l’antica e nobile famiglia locale Gallo», ci mostrò la chiesetta di S. Nicola, una cappella di famiglia donata dai Gallo alla chiesa di S. Gennaro nel 1789, di cui parlerò più avanti, ci mise a disposizione una serie di appunti redatti dal suo predecessore, don Gennaro Fusco, che fu grande cultore di storia e tradizioni del posto.
Noi impiegammo più di mezza giornata per cercare come prima cosa la nascita di Crescenzo e poi quella dei suoi genitori Giuseppe e Rosa Irace. Leggemmo e rileggemmo, ma niente, altro drammatico stop alla ricerca. Nessun risultato. Ma come era possibile? La cappella di famiglia, i volumetti, eccetera eccetera, e nessun riscontro documentale. L’alternativa cui ci trovammo di fronte fu: ci accontentiamo e lasciamo perdere, ce ne torniamo a casa? O cerchiamo qualcos’altro?
Girai la domanda a don Pio Bozza.
«Forse dovreste cercare nell’altra parrocchia, quella di S. Luca» rispose lui candidamente.
«Quella di S. Luca? Ma perché Praiano così piccola ha due parrocchie?».
«No, qui non stiamo a Praiano, questa è la parrocchia di S. Gennaro di Vettica Maggiore, frazione di Praiano».
«E dove sta Praiano, dove sta S. Luca?».
«Sta lassù, in cima a quella salita. Ora però sono le due [del pomeriggio], dovete andarci alle quattro, quando il parroco don Luigi Amendola apre le porte».
Facemmo uno spuntino, frugale e lussurioso al tempo stesso, a base di frutti di mare, nell’attigua trattoria di S. Gennaro e, alle tre e mezza, scoraggiati ma speranzosi, ci arrampicammo per una via ripidissima e per un’altra salita ancora, attraversammo un piccolo slargo denominato dell’Antico Seggio e passammo sotto un corto portico: d’improvviso ci si spalancò il piazzale di S. Luca, uno spazio piano e pieno d’aria purissima.
Le porte della parrocchia erano aperte, tutto ci invitava a entrare. La chiesa era grande e vuota. Solo in seguito capimmo che si popolava nel tardo pomeriggio, eccome se si popolava! Non c’era neanche il parroco. Solo in seguito capimmo che più che un parroco era un pastore di pecore del Signore, nel solco tracciato da un suo predecessore del Cinquecento di cui parlerò tra poco. Uscimmo dalla chiesa indecisi e impazienti, accecati dalla luce perché pur essendo a inizio primavera su quella piazza sembra di stare in cielo, fuori dal mondo costruito, l’aria è tutt’uno con il mare e la luce non è filtrata da alcun inquinamento.
Dopo una decina di minuti, dalla parte opposta della piazza luminosissima, da sotto il portico ombreggiato comparve un sacerdote, don Luigi Amendola [11.2], con dipinto sul viso il sorriso arguto e bonario di chi sa già tutto. Ci fece entrare, aprì l’armadio con i registri e, con un’enfasi non giustificata dalla semplicità dell’uomo, ci disse: «non sono molto interessato alla storia, sono interessato a fare la storia», e concluse che comunque noi potevamo pure guardare. Bastava solo che prima di andar via rimettessimo tutto a posto, perché non aveva tempo di farlo lui (né la voglia, né la pazienza). Ci apparve disponibile e un po’ ruvido. Solo in seguito mi resi conto che era una persona di una disponibilità rarissima verso i suoi parrocchiani e se appariva un po’ ruvido era solo perché noi non eravamo suoi parrocchiani. Nei mesi seguenti però lo divenimmo “ad honorem”.
Cercammo come prima cosa la nascita di Crescenzo. La trovammo agevolmente? Macché! Ancora una volta, una doccia fredda. Gli occhi ci ballavano, leggevamo e rileggevamo, ma niente. Anche in questo caso, come nei processetti matrimoniali dell’Archivio storico diocesano di Napoli, l’indice riepilogativo in testa al Registro dei Battesimi del Settecento era fatto per nome, non per cognome. Ebbene, nonostante tanto allenamento, non trovavamo Crescenzo. Dopo un’ora e mezza, miracolo! spunta Crescenzo [11.3]. Chissà perché ci era sfuggito. Da quel momento in poi, tutto in discesa, trovammo il matrimonio dei genitori di Crescenzo, e poi via via il loro battesimo, la loro morte, il matrimonio dei genitori dei genitori e così via fino a tutto il Seicento. Fotografammo tutte le pagine che giudicavamo importanti per noi.
Arrivammo ad aprire anche il primo registro della storia della parrocchia di S. Luca, quello del Cinquecento, contenente da un verso i battesimi e dal verso opposto, capovolto, i matrimoni. Ma a malincuore lo richiudemmo quasi subito, sia perché a differenza degli altri non era rilegato e non aveva beneficiato di alcun restauro conservativo nei secoli successivi, sia perché non presentava alcun indice riepilogativo, sia perché era a brandelli [11.4] e provavamo una sorta di rispetto e di timore di poterlo danneggiare sfogliandolo, sia perché l’inchiostro era “ossidato” peggio del Registro dei Battesimi di S. Maria di Tutti i Santi a Napoli, sia perché era scritto in un tardo latino, sia perché la calligrafia del Cinquecento era di difficilissima comprensione, sia perché era ormai tardi e don Luigi ci sollecitava a concludere, sia perché la mia macchina fotografica aveva la batteria quasi scarica, non essendo io un fotografo provetto, né preveggente, sia perché eravamo psicologicamente sazi ed entusiasti di quanto avevamo trovato fino a quel momento. Insomma, c’erano mille ragioni per smetterla lì e così facemmo. D’altronde non c’erano proprio alternative.
Tornato a casa a Roma, impiegai non poche settimane per interpretare, elaborare, correlare la miriade di informazioni contenute nelle foto scattate sugli archivi di S. Luca. Emersero così tutta una serie di quesiti e curiosità ulteriori. A maggio del 2010 tornammo sul posto, questa volta prenotando un albergo a Praiano e non nella frazione di Vettica Maggiore. Trovammo un don Luigi più familiare, riaprimmo i registri, cercammo e trovammo più agevolmente gli atti che rispondevano a quesiti e curiosità. Infine, riaprimmo il primo registro, quello del Cinquecento. Avevamo ancora davanti a noi molte ore di luce e di possibile lavoro, anche perché le giornate si erano allungate, la batteria della macchina fotografica era carica, la voglia era di nuovo tanta. Eppure, quel registro lo richiudemmo subito, perché non ci si capiva proprio nulla.
Decidemmo di dedicare a Praiano e alla nostra ricerca una decina di giorni di vacanze ad agosto 2010. Come si nota, sono passato ormai all’uso del plurale, perché il fascino dei documenti antichi, il loro odore, la loro polvere, la naturalità di Praiano incontaminata dal turismo a differenza di Positano che è una babele consumistica e a volte volgare, la schiettezza sobria e riservata dei praianesi avevano coinvolto anche mia moglie Silvana Noviello, la quale cominciava a svolgere nella ricerca un ruolo non secondario, anzi a volte perfino creativo e propulsivo. Decidemmo altresì di avvalerci di un bravissimo fotografo professionista di Praiano, Raffaele Scala, figlio di Giovanni Scala [11.5], lo storico del posto. Giovanni è detto “il professore” ma, come lui stesso confida con uno sguardo intelligentissimo e sornione, ha un titolo di studio di scuola elementare. Il fatto è che ha anche una enorme curiosità intellettuale, un senso profondo, sincero e orgoglioso della cultura storica, artistica, archeologica, ambientale di Praiano e di Vettica Maggiore, una cultura che lui trasfonde in iniziative ardite, vere e proprie battaglie spesso minoritarie a difesa della memoria secolare del posto.
Così, previa una non scontata autorizzazione di don Luigi, ottenemmo che Raffaele fotografasse pagina per pagina, direi brandello per brandello il registro del Cinquecento, il primo dopo il Concilio di Trento e la trasformazione in parrocchia della chiesa di S. Luca.
Tornato a Roma, dedicai altre settimane a spremere da quel registro tutte le informazioni possibili, non solo quelle relative alla famiglia Gallo.
Il recupero e la memorizzazione dell’archivio della parrocchia di S. Luca, questa volta con riguardo al Seicento, furono ripetuti e integrati il 23 aprile 2011, sabato santo, vigilia di Pasqua, che pure trascorremmo a Praiano.