cap 89

Il Tribunale, sulla base di una memoria della difesa dei Caniglia, che riepilogava tutta la complessa vicenda [89.1], autorizzò l’aggiudicazione preparatoria dei tre complessi immobiliari di vico Paparelle e vico Giardinetto. L’avviso fu affisso il 4 marzo 1844 [89.2]. Il Giornale del Regno delle Due Sicilie [89.3] lo pubblicò il 6 marzo: l’aggiudicazione preparatoria si sarebbe svolta la mattina di sabato 23 marzo, il ricavato sarebbe andato a soddisfare ben 73 categorie di creditori: oltre agli stessi figli viventi e non sposati (Reverendo secolare Giovanni, Caterina, Giuseppa, Tommasa, Pasquale, Michele e i due minori Pietro e Marianna), la figlia Teresa e il marito Raffaele Clemente, la vedova Francesca Cogna, i fratelli e le sorelle di Francesca che abitavano ancora in via Mezzocannone 64 (dove nel 1820 era nato Michele), i fratelli Gaudiosi, i signori Luigi e Giovannangelo Romito che da poco tempo avevano comprato casa a Sedile di Porto 92, Antonio Caniglia, Francesco Paolo Di Fazio, la Casa commerciale Duroni e Compagni, Girolamo Mascaro marchese di Acerno, Raffaele Serio maestro muratore, Luigi Di Pietro maestro ferraio, Gaetano Russo intraprenditore di fabbriche, Andrea Maurino falegname, Gaetano Giraldi pittore-ornamentalista, la Tesoreria generale e altri.
Come si vede, tra i creditori c’erano parenti e amici che costituivano la cerchia in cui vivevano la vedova e i figli di Matteo, e poi molti fornitori di lavori edili, oltre al fisco. Da tempo la famiglia non pagava più nessuno; i creditori aspettavano un po’ di tempo e poi, conoscendo la ricca eredità, si rivalevano su di essa. La questione strutturale, che sembrò Francesca e figli non sapessero risolvere, era l’equilibrio economico della gestione familiare quotidiana, stretta tra reddito per l’affitto delle proprietà (senza ormai più compensi da lavoro professionale) e spese per la vita di troppi figli su un livello sociale non più giustificato. È sempre così che si entra in crisi, in una famiglia, in un’azienda, in una nazione. E chi sta al governo della famiglia, dell’azienda, della nazione, invece di puntare all’equilibrio economico, parla in termini patrimoniali e finanziari: il debito, la cessione delle partecipazioni finanziarie e degli immobili… È una cosa che mi acceca. Se parli di sana gestione, sembra tu voglia fare il grillo parlante e non ti ascolta nessuno.
Gli affitti di questi tre complessi immobiliari ammontavano a complessivi 1.729,80 ducati, corrispondenti a ben l’8% del valore di perizia che era pari, come detto, a 21.556 ducati. Niente male!
La fase preparatoria si chiuse senza «oblatori estranei», cioè senza annunci di offerte da parte di terzi. I creditori rimasero perciò delusi e preoccupati, e allora ciascuno di tutti loro, nessuno escluso, da Caniglia fino a Francesca e ai figli, presentò singolarmente un’istanza per ottenere «tanta parte de’ beni espropriati in danno degli eredi Gallo quanta corrisponde a’ crediti per parte, interessi e spesa pe’ quali verranno ammessi nel giudizio di collocazione». In altri termini, ritenendo che l’asta sarebbe andata deserta e che gli immobili sarebbero rimasti invenduti, ciascuno chiese che gli venisse assegnata una porzione degli stessi immobili il cui corrispondente valore peritato fosse pari all’ammontare del credito e degli accessori (interessi, spese eccetera). Verosimilmente nella divisione, non bastando i beni, il giudice avrebbe penalizzato gli eredi Gallo debitori. Era questa, peraltro, una procedura assolutamente usuale.
Un successivo avviso pubblicato il 12 aprile 1844 comunicò che l’aggiudicazione «diffinitiva» si sarebbe svolta il 26 aprile. Questa invece fu di piena soddisfazione per i creditori, perché:
a) il 3 maggio 1844 una certa D. Michela Alleva, autorizzata dal marito, offrì 17.003 ducati per il complesso di vico Giardinetto 25, valutato dal perito Minervini 13.262 ducati, con una plusvalenza (17.003 rispetto a 13.262) del 28%;
b) il successivo 18 maggio un certo D. Domenico Di Fiore offrì 6.252 ducati per il complesso di vico Giardinetto 34, valutato 5.798 ducati, con una plusvalenza dell’8%;
c) il 25 maggio un certo D. Antonio Sellante offrì 2.352 ducati per il complesso di vico Paparelle, valutato 2.475 ducati, con una minusvalenza del 5%.
Dal corrispettivo introitato furono defalcate le spese di procedura quantificate dal Tribunale. In poco tempo, la proprietà dei tre complessi passò dai Gallo ai rispettivi aggiudicatari.
Poche settimane dopo, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera sbarcarono in Calabria, furono fatti prigionieri e, a differenza di pochi altri compagni graziati da Ferdinando II, furono fucilati nei pressi di Cosenza il 25 luglio 1844.
Il 12 gennaio 2012 mi recai a Napoli per cercare i tre complessi immobiliari. Vico Paparelle è largo non più di tre metri, privo di luce, separa la casa da quella altrettanto alta posta in quarta fila. A metà del vicolo, mi soffermai a immaginare la vita dell’epoca, socchiudendo gli occhi per guardare il più lontano possibile nel tempo. Il fabbricato mostra tutta la sua età. È fatto di grossi blocchi di tufo irregolari, esposti alle intemperie, l’intonaco esterno si è quasi completamente scrostato. Gli infissi dei balconi e delle finestre sono del Novecento e appaiono corpi del tutto estranei alla costruzione, addirittura non sono neanche a filo con il muro perimetrale. Il fabbricato insomma è molto povero. Guardandolo, rimasi stupito di come sopravvivesse una tale casa al centro di Napoli.
Il complesso di vico Giardinetto 25 ha un arco d’ingresso antico a tutto tondo, molto bello, chiuso da un cancello recente. Il quartino al quinto piano, i lastrici e i «suppremi» descritti nella perizia dell’Ottocento sono stati trasformati nel secolo e mezzo trascorso in un vero e proprio appartamento al quinto piano. La tecnica di costruzione si basò su strati alternati di mattoni rossi pieni e blocchi di tufo.
Anche il terzo complesso, al civico 34, mantiene la numerazione dell’epoca e fa angolo con vico Canale a Taverna Penta. Stessa tecnica di costruzione, stesse sopraelevazioni. Con la differenza che qui sono stati necessari sistemi di catene per evitare il cedimento della struttura portante del fabbricato sovraccaricato dal peso delle sopraelevazioni. Ma perché l’uomo deve essere sempre tanto ingordo, in spregio volgare alle regole del passato?
Prima di arrivarci, chiesi a un autista dell’azienda comunale di trasporto se fosse pericoloso addentrarsi in quei vicoli; non perché io avessi mai avuto sentore di un rischio effettivo, quanto perché i miei parenti napoletani mi suggerivano meno disinvoltura. Quello mi ripose che a Napoli basta non provocare gli abitanti con l’inutile esibizionismo di orologi e altro. Insomma, basta essere rispettoso dell’ambiente e non andarseli a cercare i furti. Risposi che ero assolutamente e sinceramente d’accordo.
Mi fermai a mangiare un piatto di spaghetti all’Hosteria Toledo, una «antica trattoria, dal 1953» di vico Giardinetto 78. Chiesi alla titolare se il vicolo fosse sicuro. Sorpresa, mi rispose che era «tranquillo». Gli spaghetti, al dente, con pomodorini, basilico e parmigiano, furono ottimi. Il prezzo onesto, come recita la pubblicità. Quanto all’antico (1953), be’ non accettai lezioni, ma non glielo dissi, per non dispiacerla.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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