cap 87

Il rinvenimento di questa documentazione e la ricostruzione di vicende tanto complesse, convulse, per certi aspetti drammatiche, mi coinvolsero sempre più nel corso dell’anno 2010 e mi indussero a tornare molte volte a Napoli. Saltavo tra l’Archivio di Stato e quello notarile, in una sorta di caccia al tesoro perduto. Come del resto accade in qualsiasi ricerca bibliografica, il perimetro dell’indagine via via si allargava e spuntavano fuori altre proprietà immobiliari e altri creditori e nuove vendite forzate. Un impero sconfinato e una rovina precipitosa, un vortice al centro del quale i figli di Matteo ruotavano vertiginosamente risucchiati sul fondo. E alla fine anche l’indagine si concluse.
Via via che trovavo documenti, pensavo soprattutto ad acquisirne una copia ben leggibile, li archiviavo salvandoli su supporto informatico ma anche stampandoli su carta e rimettendoli in ordine cronologico. Solo dopo, con calma, li rileggevo, li studiavo, li interpretavo, talvolta con l’ausilio di una bravissima archivista (Barbara Orciuoli) che me li trascriveva, li comprendevo, li inquadravo nel loro contesto storico, in ciò aiutato dalle analisi contenute nei saggi pubblicati da Giuseppe Galasso, per me una stella polare.
Mi imbattei per esempio in tre ulteriori proprietà immobiliari degli eredi di Matteo, esistenti negli anni Trenta dell’Ottocento: un «comprensorio di case sito a S.a M.a La Grande col portone principale nel Vico Paparelle» prospiciente su S. Maria La Scala (Circondario e Sezione Mercato), dove a metà del Settecento erano andati ad abitare Crescenzo e Carmina Fenitia; due comprensori di case al «Vico Giardinetto a Toledo segnati coi Ni 25 e 34». Questi ultimi furono costruiti nel 1821 «sul suolo di una casa diruta [diroccata]». Non ne erano comproprietari i fratelli viventi di Matteo. Questo particolare fa supporre che a fare l’investimento fosse stato Matteo dopo la morte di Michelangelo.
Ancora oggi esistono Vico Paparelle [87.1] e Vico Grande [87.2]; distano pochi metri dalla chiesa di S. Maria La Scala ma ne sono crudelmente separati, e tagliati da corso Umberto realizzato a fine Ottocento con il progetto Risanamento di Napoli. Il primo comprensorio di case aveva ingresso da vico Paparelle 13 ed era formato da un pianterreno, quattro «appartamenti superiori» [cioè quattro piani, ciascuno con un appartamento], una bottega, il pozzo per l’acqua. In ciascuno dei quattro piani c’erano una sala non molto ampia, tre camere, una cucina e un gabinetto. Dunque, per la prima volta, trovai un gabinetto interno agli appartamenti. Al primo piano si accedeva dal portone tramite una scala con una quindicina di gradini in piperno e due piccoli pianerottoli; scale simili collegavano tra loro i piani superiori. Al quinto piano c’erano una «loggia scoperta» e uno stanzino. La bottega aveva due porte, una su vico Grande 20 e l’altra su S. Maria La Grande 1. Altre due botteghe nello stesso fabbricato erano state assegnate da Matteo a sua figlia Teresa quando questa aveva sposato Raffaele Clemente, quello che il 2 agosto 1833 offrì 1.401 ducati all’incanto preparatorio per Frattamaggiore.
Vico Giardinetto [87.3] è perpendicolare all’attuale via Roma salendo verso Vico Lungo Montecalvario prima e corso Vittorio Emanuele sullo sfondo. A fine Ottocento era una delle poche zone di Napoli ricche di acqua naturale: «…l’estate, quando non c’è una goccia d’acqua da dissetarci, quando per due mesi la Vergine maledetta non ci manda un filo di pioggia, e bisogna andare al Vico Giardinetto a pagare un tornese la secchia, allora sì che si capisce che cosa vuol dire Monte Calvario!» Il comprensorio di vico Giardinetto 25 (Circondario e Sezione Montecalvario) comprendeva un pianterreno, quattro appartamenti superiori, un quartino al quinto piano, oltre ai lastrici e ai «suppremi» [Locali costruiti sopra i lastrici]. Al pianterreno c’erano anche tre botteghe, una al numero 23 con stanza in ammezzato, una al numero 24 e una terza al 26 ad angolo con vico Lungo Trinità degli Spagnuoli. Ciascuno dei quattro piani superiori era diviso in due appartamenti, più o meno simili, composti ciascuno da una sala, una cucina, quattro camere. Solo due delle quattro camere del primo piano erano «oscure», cioè prive di finestre. Le cucine avevano ciascuna un «focolaio con cappa, con due fornacelle alla romana ed una alla monachile. A destra vi è il comodo del cesso, in un chiuso di tavole, nel quale si entra per porta con banderuola ad un pezzo; vi è anche a destra un balconcino alla romana». I pavimenti erano tutti «mediocri». Nella prima bottega c’erano un «poggio di focolaio senza cappa con due fornacelle alla romana, ed uno scalandrone di legno che fa montare alla stanza superiore, ed il Sidile del cesso». Questo era presente anche nelle altre due botteghe. Nel fabbricato erano anche utilizzati un sottosuolo e un sottoscala. Gli ambienti del quartino al quinto piano erano tutti più piccoli.
Il comprensorio di vico Giardinetto 34 era un casamento composto da un pianterreno e cinque piani. Il pianterreno aveva due bassi, uno al numero 35 e un altro al 6 di vico Canale; un ammezzato; un sottoscala. Il primo basso aveva il solito «focolaio senza cappa e il sedile del cesso»; il secondo basso aveva due pozzi, il «focolaio con due fornacelle alla romana e di fronte vi è il nicchio del cesso senza chiusura». Ogni piano aveva un solo appartamento, costituito da una sala, due camere, una cucina, il comodo del cesso in un chiuso di legno con banderuola, un passetto dove si attingeva l’acqua e un secondo passetto per salire al piano superiore. Infine, c’era «un quartino su i lastrici solari».
È un grave errore rilassare i muscoli nel mese di agosto, perché i cambiamenti epocali, fausti o infausti, si verificano per lo più in quel mese. La mia non è superstizione né, lo ammetto, scienza esatta. Fatto sta che questo racconto dimostra come importanti eventi avvennero tutti ad agosto: nel 1581 don Fabrizio Gallo fu designato primo parroco di S. Luca dalla universitas di Praiano; nel 1647 a Napoli scoppiò il conflitto nell’Arte della seta; nel 1656 si ebbe a Praiano la punta massima di morti per peste; nel 1773 Crescenzo acquistò la masseria di Posillipo; nel 1779 Crescenzo instradò la figlia Margherita alla vita monastica; nel 1783 Crescenzo avviò il nipote Giovanni alla vita sacerdotale; nel 1810 Michelangelo affittò i beni enfiteutici in Frattamaggiore dai conti Spena; nel 1811 Michelangelo ebbe la sentenza definitiva di aggiudicazione dei canoni di Spena; nel 1815 Matteo comprò la casa di S. Maria Antesaecula; nel 1816 l’avvocato Fusto della Real Casa presentò il rapporto con l’ipotesi di enfiteusi penalizzante per Michelangelo; nel 1833 fu pubblicato l’incanto preparatorio per la rivendita dei canoni di Frattamaggiore.
Ebbene, nel 1840 gli eredi di D. Matteo Gallo erano debitori verso un certo D. Francesco Paolo Di Fazio per un mutuo di 800 ducati scaduto e non rimborsato. A Di Fazio si surrogarono in qualità di creditori privilegiati e ipotecari alcuni signori Caniglia, minori, figli di una tale Vittoria Bianconcini. La tutela dei minori fu affidata a D. Antonio Caniglia. Questi ottenne dal Tribunale Civile di Napoli il 24 luglio 1840 una sentenza di rigetto dell’opposizione dei Gallo e quindi, il successivo 21 agosto 1840, un verbale di pignoramento dei tre comprensori immobiliari di vico Paparelle e vico Giardinetto. Va precisato innanzitutto che su questi immobili erano stati già iscritti gravami a favore di altri creditori, fin dal 1821 (dunque subito dopo la morte di Michelangelo, con Matteo quasi cinquantenne) a favore della «Casa commerciale Duroni e Compagni» e in seguito anche a favore di tale «Andrea Loffredo». Questa di altri creditori precedenti è una conferma di quanto i Gallo, vivendo chissà con quale tenore e senza reddito da lavoro, stessero in quegli anni dilapidando la fortuna che il loro bisnonno Crescenzo aveva accumulato, dapprima nella sua attività di maestro tessitore di drappi di seta «fatigando su de telari» e poi nel negozio di Sedile di Porto 92.
Il 22 dicembre 1842 il Tribunale incaricò l’architetto Alessandro Minervini di produrre una perizia giurata e nominò Gabriele Solaro amministratore giudiziario dei fondi pignorati. Fece salva la casa di S. Maria Antesaecula 112 lasciandola fuori da questa procedura, nonostante anch’essa fosse stata pignorata da Andrea Loffredo, ma promosse il distacco del relativo quarto che era rimasto sempre di proprietà della figlia minorenne di Tommaso Attanasio.
Per Francesca e figli quello del 1842 fu un Natale di pianti e preghiere, difficilmente dimenticabile. Di tutti i figli, era sposata solo Teresa, con Raffaele Clemente. Aveva avuto in dote da Matteo due botteghe e, con questo, era uscita dall’asse ereditario. Nel frattempo era morto Luigi.
L’architetto Minervini fu accompagnato nei sopralluoghi dal patrocinatore di Francesco Paolo Di Fazio e da Pasquale Gallo, fresco laureato in legge all’Università di Napoli, motivo questo di grande e giustificato orgoglio della mamma Francesca. D’altra parte, Giovanni era sacerdote, Luigi era morto, la scarsa evoluzione sociale della donna nell’Ottocento non abilitava le tre sorelle più grandi di Pasquale (Caterina, Giuseppa e Tommasa) a occuparsene loro.
Minervini preparò una ponderosa perizia, comprendente un dettagliato riepilogo di tutti i fatti qui sopra descritti, la giurò e la presentò il 26 luglio 1843 [87.4]. Stimò un valore complessivo pari a 21.556,10 ducati, così articolato: 13.262,62 ducati per il comprensorio di vico Giardinetto 25, e suggerì di farne per la vendita due lotti del valore pari rispettivamente a un terzo e due terzi del totale; 5.798,33 ducati per il comprensorio di vico Giardinetto 34, e suggerì di farne tre lotti di valore rispettivamente pari al 34%, 37% e 21% del totale, più il quartino a parte (8% del totale); 2.475,15 ducati per il comprensorio di vico Paparelle, e suggerì di farne due lotti di valore quasi paritetico.
Il 3 agosto il perito Minervini chiese al Tribunale che gli fosse riconosciuto un adeguamento del compenso [87.5].

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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