Per evitare che qualche estraneo o addirittura un parente dei Gallo si aggiudicasse la nuova vendita all’incanto, Casa Reale scese in campo attraverso il Primo Educandato Regina Isabella Borbone. Questo Educandato era stato istituito a Napoli pochi anni prima, nel 1829, sul modello delle scuole di istruzione femminile, sotto la protezione della Casa Reale e senza vincoli con l’Autorità ecclesiastica. Il governo gli aveva trasferito il diretto dominio sulle terre di Frattamaggiore che aveva fatto capo al già «Monistero di S. Patrizia», dove Torquato Tasso nel Cinquecento aveva ambientato una sua famosa “canzone sagra”. Il re Francesco I spiegò i motivi che lo avevano spinto a fondare questa scuola: «…dopo che la Regina, Nostra dilettissima Consorte, imprese una particolar cura e protezione del Primo Educandato di donzelle stabilito in questa capitale, apportandovi considerevoli miglioramenti nella educazione ed istruzione non meno, che nella tenuta del medesimo Educandato, vedemmo il bisogno di doversi riformare lo Statuto dello stesso». Come dire, i motivi furono che… così piacque alla regina! Fu stabilito che fossero ammesse educande solo nobili o figlie di alti burocrati.
La strategia della Real Casa fu che bisognasse sbrogliare la matassa di Frattamaggiore partendo dal bandolo, bisognasse cioè risalire all’origine e far tornare il diritto sulle terre a chi ne aveva detenuto il dominio, cioè al Monastero di S. Patrizia, ora Primo Educandato Regina Isabella. In coerenza con tale strategia, si giunse alla sentenza 27 giugno 1835 [86.1] della prima Camera del Tribunale Civile di Napoli nella causa:
«Tra il Primo Educandato Regina Isabella Borbone comp.te per D. Ferdinando Cestari C.o il Reṽndo D. Marco, D. Luca, Da. Maria e Da. Maddalena Gallo, Reverendo D. Giovanni, Da. Caterina, Da. Giuseppa e Da. Tommasina Gallo, e Da. Fran.ca Cogna [tutrice di cinque figli minorenni e viventi di Matteo, cioè di Pasquale, Luigi, Michele, Pietro, Mariantonia detta Marianna] vedova di D. Matteo Gallo nella qualità come dagli atti, contumaci [86.2] ». Dunque i Gallo furono contumaci, non si presentarono e non si difesero. Perché? Erano sprovveduti? Non avevano soldi per difendersi? Gli avevano detto che era meglio lasciar perdere? Chissà!
Presidente della Prima camera era D. Carlo Oliva; giudici D. Emmanuele Fortunato e Fulgenzio Orilia; svolgeva funzioni da P.M. il Cav. D. Luigi D’Andrea.
«Quistioni: 1a Deesi far dritto alla dimanda in esame? 2a Che per le spese?». Il Tribunale decise cioè di esprimersi sia nel merito che riguardo alle spese. Così sentenziò:
«Sulla 1a. Considerando, che la dimanda è abbastanza giustificata, e che non è stata contraddetta da’ suoi convenuti.
Sulla 2a. Considerando, che il succumbente va condannato alle spese.
Il Trib.le in continuaz.e de’ 25 corr.te, pronunziando diffinitivam.te in contumacia di parte, ed inteso il P.M. in persona del Giud.ce Cav.e D’Andrea sulle uniformi conclusioni, dichiara risoluto il contratto stipulato nel dì 9 Feb.o 1918 per Notar Papaleo, e quindi nel dichiarare in oltre devoluti in beneficio del Primo Educandato Regina Isabella Borbone gli immobili siti in Fratta Maggiore… condanna D. Marco, D. Luca, D.a Maria, D.a Maddalena, D. Giovanni, D.aCaterina, D.a Giuseppina, e D.a Tommassina Gallo, non che D.a Fran.ca Cogna, qual madre tutrice di D. Michele, D. Pasquale, D. Luigi, D. Pietro, e D.aMariantonia Gallo a rilasciare in favore del sud.o Primo Educandato gli immobili sopradescritti.
Condanna inoltre i sudd.i Sig.ri Gallo e Cogna ne’ rispettivi nomi a pagare al sudd.o Primo Educandato du.ti 521:12… una con le altre quantità, che devono per causa di canone da Gen.o ultimo fino al dì in cui avrà luogo il rilascio de’ beni enfiteutici, ed una con gl’interessi… alla ragione del 5 per 100…
Condanna in fine li d.i Sig.i Gallo e Cogna a restituire al sud.o Primo Educandato le produz. consegnate nell’atto della stipula del sud.o istrumento, ed a pagare le spese del prẽte giudizio liquidate in du.ti 18:81, oltre l’interesse».
Tra tanti dubbi, restano questi: come potevano i Gallo perdere una proprietà sol perché al Primo Educandato veniva riconosciuta «abbastanza ragione»? Come si poteva essere condannati a pagare un canone per gli ultimi mesi e per quelli a venire se il contratto notarile di compravendita era stato appena «risoluto»?
Mi sembra lecito supporre che ad aver fatto “corridoio” in Tribunale, come si dice in gergo, fosse stata la Corte Reale, per il tramite del Primo Educandato Regina Isabella Borbone. Matteo morì d’infarto per le preoccupazioni, dovute a quanto sappiamo ma anche, non ultimo, a un senso di isolamento rispetto al potere.
Il Primo Educandato procedé subito con più verbali al pignoramento dei diritti immobiliari in danno dei Gallo.
A quel punto, i Gallo abbandonarono la contumacia e presentarono opposizione, difesi da D. Filippo Pelange. Tre mesi dopo, il 28 settembre 1835, la stessa Prima Camera del Tribunale Civile di Napoli [86.3] da un lato confermò la risoluzione del contratto notarile del 9 febbraio 1818 ma dall’altro, a parziale accoglimento delle loro «doglianze», revocò la parte relativa alla devoluzione dei fondi a favore del Primo Educandato e la rimandò ad altro eventuale separato giudizio.
Della sentenza si rivelarono molto importanti anche altri due elementi. Primo, si diceva: «Atteso che non meritano ascolto le doglianze degli opponenti, per quanto riguarda l’ordinata risoluzione del contratto de’ 9 Feb. 1818, giusta la sentenza pronunziata da questo Tble il 27 giugno corrente per la ragione che, avendo gli opponenti mancato di proseguire i dovuti pagamenti nella scadenza fissata, sono perciò incorsi nella pena della risoluzione del contratto medesimo».
Sembrerebbe dunque che Matteo e i suoi fratelli viventi avessero saltato una o più rate enfiteutiche e fossero incappati nella famosa clausola di purgazione della mora, maledettamente accettata da Michelangelo. Se così fosse, la sentenza di primo grado sarebbe stata giusta e non ci sarebbe stato purtroppo nulla da eccepire. In tal caso l’infarto di Matteo sarebbe stato una tragedia annunciata fin dal momento del mancato pagamento della prima rata saltata. Ma l’usciere non aveva detto questo, aveva certificato di «non aver rinvenuto i capitoli di vendita, né obbligo fatto dall’aggiudicatario», e di non aver potuto accertare «se siasi consegnata la spedizione». E il Tribunale aveva dato solo «abbastanza ragione» al Primo Educandato! Dunque, qual era la verità vera, quella letteralmente certificata dall’usciere o quella intesa dal Tribunale?
Il secondo elemento è che i Gallo mostravano di non avere più abbastanza soldi per pagare la pena pecuniaria di 521 ducati cui erano stati condannati, né i canoni da gennaio e per i mesi a seguire, né le spese giudiziarie. E allora sapete cosa decisero con quel genio del difensore D. Filippo Pelange? Chiesero che la somma fosse attinta non già dai canoni di Frattamaggiore, bensì da quelli della masseria di Posillipo data a suo tempo in ipoteca speciale. Con quella richiesta, ovviamente accolta subito dal Tribunale, i giovani Gallo rischiavano di perdere non solo Frattamaggiore ma anche la masseria di Posillipo, così cadendo nella trappola studiata con tanta lungimiranza vent’anni prima da Francesco Fusto, avvocato della Real Casa, da lui inserita nel suo rapporto del 29 agosto 1816 e calata nel contratto notarile del 9 febbraio 1818, e ciò nonostante che provvidenzialmente il Tribunale avesse dichiarato «risoluto» quel contratto.