cap 82

La mattina di giovedì 23 marzo 1820, due anni dopo l’acquisto in enfiteusi di Frattamaggiore, Michelangelo a ottant’anni e mezzo morì «nella sua propria casa» di Sedile di Porto. Alle sei del pomeriggio Gaetano Cogna, il consuocero, e Dominico Lombardo, fedele «giovine di mercante», si recarono presso «l’Uffiziale dello Stato Civile del Circondario di Porto del Comune di Napoli» per fare la denuncia della morte, avvenuta alle undici della mattina di quel giorno. Nell’atto numero d’ordine 227, pag. 114 del Registro dei defunti Anno 1820 del Comune di Napoli [82.1], Michelangelo è definito «negoziante» e «viduo» di Catarina Masucci.
Dopo che nel 1816 aveva unificato i due regni di Napoli e di Sicilia e aveva assunto il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie, Ferdinando IV morì a Napoli il 4 gennaio 1825 a 74 anni, per una congestione insorta in seguito a un forte raffreddore che si era preso il giorno prima durante una battuta di caccia. Di fronte a questo ultimo nemico, il re non aveva fatto in tempo a fuggire ancora una volta in Sicilia.
Quando Michelangelo morì, la nuora Francesca Cogna moglie di Matteo aveva 33 anni ed era incinta di sei mesi. Era la sua ottava gravidanza. Il 13 giugno nacque un maschietto [82.2][82.3]. Lo chiamarono Michele, lo stesso nome usato da Michelangelo nella sua ditta, oltre che come nomi successivi Antonio, Mariano, Geltrudo. Ricordiamo che Antonio era anche il primo nome di Michelangelo. Nonostante il fausto evento, Matteo soffrì per la perdita del padre con sbalzi d’umore per molto tempo. Sulla sua testa pendeva la spada di Damocle delle condizioni e delle clausole contrattuali nel rogito di Frattamaggiore firmato da Michelangelo, a partire dalla ipoteca generale e speciale su tutte le proprietà per finire con l’accettazione della purgazione di mora. Cosicché bastava che un nonnulla andasse storto e la solidità patrimoniale di Matteo e famiglia ne sarebbe rimasta compromessa.
La grafologa, da me richiesta di esaminare tra varie firme di Matteo quella apposta il giorno della nascita del figlio Michele, non informata di nulla, men che mai che da tre mesi gli era morto il padre, scrisse: «Il periodo più complicato [Matteo] lo ha vissuto nella firma del 1820, in cui si notano ingorghi, scatti, urti, pressione spostate, e l’ascendenza si perde e con essa anche alcuni ideali». Impressionante, vero?
Matteo era serio e serioso, affidabile. Si vestiva così com’era. Portava abitualmente il frac, nero o blu scuro [82.4], peraltro secondo la moda dell’epoca. In quell’epoca molti uomini importanti presero a indossare due gilets uno sopra l’altro e nel 1827 da Parigi partì la moda del gilet “giallo giraffa”, come spiega Pisetzky. A Matteo però non piaceva nessuno dei due modernismi. Si sentiva uomo d’affari all’antica. I suoi pantaloni, piuttosto, erano stretti alla caviglia con quattro o cinque bottoncini. Quando in particolari occasioni aveva bisogno di essere elegante, Matteo metteva la “redingote” [82.5], dall’inglese “riding coat” (mantello per cavalcare) o, più probabilmente, “raining coat” (mantello da pioggia), che era un soprabito legato sul davanti, aderente alla vita e libero nella parte inferiore. Era la progenitrice della giacca, che si diffonderà a fine Ottocento. Per il resto Matteo indossava: camicie di lino con bottoni gemmati ai polsi, cravatta di batista annodata con cocche cascanti o fissata alla camicia con due spille, calzette di seta nera, scarpe a punta quadrata.
Nella casa di Sedile di Porto, nel corso degli anni, restarono ad abitarci quattro figli di Michelangelo, e cioè Luca, Rosa, Maria e Maddalena. Il sacerdote don Marco andò a vivere a Salita Stella 39. Quando a giugno 1820 nacque il loro figlio Michele, come si legge nel certificato di nascita, Matteo e Francesca erano andati da poco ad abitare in via Mezzocannone 64, identificabile nel particolare 143 della mappa di Noja [82.6], a 280 metri da Sedile di Porto 92, identificabile come abbiamo già visto con il particolare 133, e a 130 metri da S. Giovanni Maggiore. In quella casa abitavano anche Vincenzo, Luigi, suor Maria Luigia, tutti fratelli di Francesca Cogna. Michele fu battezzato appunto dal parroco di S. Giovanni Maggiore martedì 13 giugno 1820, giorno in cui nacque.
Nonostante l’avesse acquistata nel 1815, Matteo trasferì la famiglia nella grande casa di S. Maria Antesaecula 112 solo qualche tempo dopo la morte di Michelangelo, perché gli ci vollero ben otto anni per completare l’acquisto di altre porzioni del fabbricato (per la verità queste ulteriori in enfiteusi), farci lavori di adattamento, commissionare e sistemare sul portone lo stemma con il gallo sul monte a tre picchi [82.7]. Con atto 29.12.1823 notar Gaetano Scoppa, Matteo arrivò a comprare i tre quarti dell’intero fabbricato. L’ultimo quarto restò per il momento di proprietà di Luisa, figlia minore del fu Tommaso Attanasio.
Il 30 agosto 1824 l’ottavo e penultimo figlio del 52enne Matteo e della quarantenne Francesca, Pietro, nacque [82.8] a casa nuova.
Due settimane prima, il 16 agosto 1824, nella casa di Sedile di Porto 92 era morto Pietro [82.9], quarantenne figlio di Michelangelo e fratello di Matteo, «di professione proprietario». Secondo la regola secolare del passo del cavallo a scacchi, morto lo zio, il nipote nato subito dopo ne prese il nome.
L’ultima a nascere in famiglia fu nel 1826 Marianna [82.10][82.11], che prese il nome della figlia monaca di Crescenzo, sorella di Michelangelo.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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