Tra il 1810 e il 1818, al “sequel” della vicenda relativa alla masseria di Capodimonte si sovrapposero due ulteriori ambiziose avventure immobiliari, condotte rispettivamente tra il 1810 e il 1818 da Michelangelo, e tra il 1813 e il 1815 da Matteo. In questa parte del racconto constateremo gli effetti destabilizzanti della rabbia cumulata da Michelangelo per il sequestro della masseria e cominceremo a riscontrare quell’altalenanza del suo destino patrimoniale che alla nascita provocò a suo padre Crescenzo il brivido premonitore. Procediamo in ordine concettuale, partendo dal “sequel” sulla masseria di Capodimonte.
Con il trattato di Casalanza, firmato presso Capua il 20 maggio 1815, i Borbone tornarono dunque sul trono di Napoli. Cinque mesi dopo, nel mese di ottobre 1815, la cosiddetta Restaurazione provvide, tra l’altro, a contro-requisire le ville di Capodimonte che Giuseppe Bonaparte nel 1808 aveva tolto ai privati tra i quali Michelangelo e nel giro di un paio d’anni aveva donato agli uomini della sua corte.
Il verbale [77.1] relativo alla masseria sequestrata a Michelangelo recitava così: «Il Direttore della Provincia di Napoli con sua lettera del 14 Ottobre andante Anno 1815 ha rimessi a questa Direzione due verbali di sequestro, uno de’ quali è quello riguardante li beni incamerati nel giorno 2 dello stesso mese per mezzo del giudice di pace del circondario S. Carlo all’Arena sig. Antonio Mastellone; ad istanza del Ricevitore, e colla di lui assistenza, che erano stati concessi al predetto Cardinale a titolo… Quali beni, che ne prese il possesso il ricevitore, si passa a descrivere giusto lo stesso verbale con quelle osservazioni corrispondenti:
a) Due pezzi di Territori a Ponti Rossi uno di moggia 10 circa che si apparteneva al S.r Michelangelo Gallo dal quale se n’è tolto un moggio, che trovasi ceduto al signor Macedonio per anni 25, l’altro di moggia che si apparteneva al sig.r Pirone affittato a Giuseppe Botta che disse pagare annui ducati 245 terziatamente a 30 Aprile, Agosto e Dicembre passato e che terminava alla fine di Dicembre di questo corrente anno 1815.
b) Per detto moggio ceduto c.s. affittato a Gaetano Russo per anni 25, il quale disse pagare annui ρ 27 terziatamente… ecc.
c) Due altri pezzi di Territori in detto luogo, uno di moggia 2½ circa, che si apparteneva alli fratelli Murria [i Di Muria che avevano offerto il nascondiglio a D’Angelo]; ed altro di moggia 2¾ circa in due pezzetti che si appartenevano al sig. Santo Mungo affittato a Onofrio D’Angelo, che disse pagare ρ 106 terziatamente come sopra; e che doveva il terzo di agosto ultimo passato, e di terminare come s.
d) Un piccolo pezzetto di territorio sito a Capo di Monte, che si apparteneva agli eredi di Papasso affittato a Gennaro Imperatore, il quale disse pagare annui ρ 240 in ogni fine di Dicembre ed ha pagata l’annata del 1814 e spira l’affitto nella fine di Dicembre corrente anno 1815.
e) Territorio sito… affittato a Pietro d’Avolio ecc.: ducati 60.
f) Casino… affittato al suddetto Pietro d’Avolio ecc.: ducati 20.
g) Territorio… affittato a Gennaro Durizio ecc.: ducati 93.
h) Altro territorio… affittato a Sabato di Filippo ecc.: ducati 52.
i) Tre pezzetti di territorio… affittato ad Antonio di Lauro ecc.: ducati 115,50.
j) Due territori… affittato a Giuseppe Panella ecc.: ducati 200.
k) Casa… affittata a Carmine Nevola ecc.: ducati 8.
l) Da Domenico Verde due Bassi per ducati 9.
m) Da Nicola Riccio un altrio basso per ducati 5.
n) Da Sabato di Filippo una stanza per ducati 6.
o) Da Carmine Castellano altra stanza come sopra ducati 6.
p) Da Raffaele Offredo altra stanza come sopra ducati 6.
Totale: ducati 960,90».
«Nota
Dal Verbale anzidetto si ravvisa che conferitosi il Giudice di Pace col Ricevitore in unita al Cancelliere ed Usciere del Casino, e Territori alla Strada nuova de’ Ponti Rossi, ove ritrovarono il Suddetto Eminentissimo Sig. Cardinale, al quale avendo comunicato l’oggetto del loro accesso, non si oppose al disposto del Real Decreto per il di cui effetto rilasciava li fondi rustici, e le Case da lui fin’ora possedute a titolo di donazioni ammenocché il Casino Nobile colle sue delizie, ed adiacenze, che valendosi dell’articolo secondo della Legge ha dichiarato che egli intende di ritenere, comecché quasi per intero, e da nuovo da lui costrutto, ed ornato, pagando il valore della picciola e vecchia Casa rurale del Sig. Michelangelo Gallo, che gli fu consegnata in tempo della donazione al di cui importo però debbono controporsi le infradescritte partite di suo credito, e pretenzioni, in seguito della quale dichiarazione il sig. ricevitore Gabellone prenderà il possesso de’ Territori, e delle Case, senza esservi compreso il suddetto casino nobile colle sue delizie, ed adiacenze, che si è ritenuto da esso Signor Cardinal Firrao, avendo solamente il detto Signor ricevitore protestato di farne rapporto al Signor Direttore de’ Demanj. Si è oltre detto il Signor Eminentissimo Cardinal Firrao protestato nel rilasciare il possesso de’ suddetti beni».
Ritrovai anche l’inventario delle piante quando la proprietà tornò nella disponibilità dell’affittuario, sempre lui, Onofrio d’Angelo [77.2].
Da questo prezioso documento emerge che: tutti i beni donati al cardinal Firrao erano affittati, tranne il casino nobile ex casa rurale di Michelangelo, perché quello il cardinale se l’era tenuto per sé; dai soldi che il ricevitore chiedeva indietro al cardinale, quest’ultimo voleva detrarre le spese relative al rifacimento più che ristrutturazione della casa rurale di Michelangelo e alle opere di urbanizzazione primaria; il cardinale protestava per dover rilasciare i beni, mentre quando Giuseppe Bonaparte nel 1806 li aveva sequestrati a Michelangelo, questi non aveva potuto nemmeno protestare.
Requisiti alla Restaurazione tutti i beni donati al cardinal Firrao, il duca Paolo Marulli d’Ascoli acquistò nel 1816 dal Demanio il casino nobile ex casa rurale di Michelangelo, insieme al fondo di circa 15 moggia [http://www.nobili-napoletani.it/Marulli.htm]. Il tutto passò in seguito a Sebastiano Marulli e poi alla duchessa d’Ascoli, Leopoldina Ruffo dei duchi di Bagnara.
È probabile che, solo dopo che i Marulli d’Ascoli ebbero acquisito la villa, fu realizzato il giardino all’inglese, rappresentato nella pianta di Capodimonte e suoi contorni del 1820 circa. Il giardino si anteponeva al cortile e degradava dall’ingresso sulla via dei Ponti Rossi verso oriente, dove si apriva l’affaccio più panoramico della villa; sempre a levante si estendeva in leggero pendio l’area coltivata.
La villa fu acquistata in seguito dal conte Francesco del Balzo, marito di Maria Isabella di Borbone, vedova di re Francesco I di Borbone. È raffigurata due volte nel sito dei conti del Balzo: una prima volta con il seguente titolo “Napoli – stampa antica della villa acquistata dal conte Francesco del Balzo marito di Maria Isabella di Borbone, vedova di re Francesco I di Borbone”; e una seconda con quest’altro titolo: “Napoli – ingresso villa dei coniugi Ernesto del Balzo(Napoli,11/4/1845† ivi 15/7/1930), duca di Caprigliano, e Donna Dorotea Walpole († Napoli 19/1/ 1921)”. Fu donata nel 1921 all’Ordine di Malta da Ernesto del Balzo, alla morte di sua moglie Dorotea Walpole, con l’obbligo di destinarla a scopi assistenziali, conservando la denominazione di “Villa Walpole”.
Data prima in concessione ai Padri Gesuiti di Napoli, dal 1935 sino alla fine degli anni Sessanta la villa ospitò l’Istituto Ortofrenico “Michele Sciuti”. È probabile che gli adattamenti a casa di cura avessero coinvolto anche il disegno del giardino ottocentesco, mentre il piccolo boschetto d’alto fusto e le piante ornamentali che in quegli anni erano ancora nella villa dovevano risalire alla composizione arborea originaria.
Nel 2011 la villa era quasi inagibile, era passata in concessione ai domenicani che, per destinarla a residenza per anziani, stavano procedendo a lavori di restauro dell’immobile e di riordino del giardino storico. Erano ancora presenti alcuni pregevoli e vetusti esemplari arborei, come un gruppo di lecci, qualche roverella, una palma da datteri, un pino d’Aleppo ed altri alberi ornamentali. A oriente, oltre i margini del giardino storico, c’era, come nell’Ottocento, una piccola zona coltivata a orto e frutteto.
Gli interventi urbanistici, tra i quali il più rilevante fu rappresentato dalla Tangenziale che passa proprio sotto il cuneo dell’antico bosco, stravolsero il paesaggio. La nuova via Ponti Rossi ha una sede completamente diversa dalla vecchia strada, è larga, ha il doppio senso di marcia, è molto più esterna al bosco, passa davanti l’ingresso di Villa Walpole, incrociando quanto resta del vialetto del Settecento.
Vi devo dare una brutta notizia: nel 2009 cadde una delle ultime querce. Un dolore! Ne restavano ancora due e poi sarebbe finita…
Appaiono sorprendenti e lasciano non poche perplessità, infine, due ulteriori aspetti dell’intera vicenda. Il primo è che la restaurazione borbonica nel 1815, invece di restituire al suo originario proprietario Michelangelo Gallo il cespite, sia pur ristrutturato e valorizzato per gli aspetti immobiliari, lo vendette alla famiglia del Duca d’Ascoli, cioè proprio al Soprintendente Generale di Polizia che, per quanto appassionato di giardini all’inglese, aveva trattato la vicenda spiacevole dell’arresto dell’inquilino moroso Onofrio D’Angelo e nel metodo aveva dato torto a Michelangelo. Forse non esistevano veri e propri conflitti di interesse, ma certamente motivi di opportunità avrebbero dovuto suggerire ai Borbone qualche altro compratore diverso. E i Borbone non potevano non ricordare.
Secondo aspetto. Walpole fu il costruttore dell’originaria masseria nel 1745, quindi antenato duecento anni prima di Dorotea moglie di del Balzo, duca di Capri.