Matteo nacque l’11 settembre 1772 [76.1]. In quel momento, la madre Catarina Masucci aveva 24 anni, ma era già alla terza o quarta gravidanza. Fu battezzato con il nome di Matteo Nicola Giacinto nella chiesa di S. Maria in Cosmedin, in piazza di Portanova, particolare 133 della mappa, a cinquecento metri da Sedile di Porto 92, particolare 153 [76.2]. A quei tempi non esisteva ancora l’odierno corso Umberto [76.3]. La facciata della chiesa era stata restaurata in stile barocco nel 1706, una trentina di anni prima di S. Maria La Scala.
Il nonno Crescenzo morì che Matteo aveva dodici anni e mezzo. Il ragazzetto aveva fatto in tempo ad assimilare molta della grinta del vecchio. Anche per Matteo trentenne raccolsi una firma del 1802 [76.4] e la feci analizzare. «Persona con impennate d’orgoglio e forte coscienza di se stesso… il peso dell’immagine o di ciò che si deve essere può gravare su un “io” che nonostante sia, a detta di Freud, narcisista, non è poi così strutturato nella sostanza come la firma lo vuole far apparire. È una persona generosa che prende dalla terra facendosi ispirare dai suoi ideali… Per certi punti di vista è ancora una personalità acerba… si sforza per apparire efficiente e iperattiva, infatti l’angolo presente in modo accentuato nella sua firma può anche essere una maschera che nasconde il conflitto interiore, la debolezza, la mancanza di libertà, esprimendo costrizione; prevale il sentimento piuttosto che la razionalità».
«Da giovane Matteo nel firmare il proprio cognome racchiude in sé alcuni dei tratti del nonno più che del padre. La firma si presenta, seppur energica e pastosa, con grande dispersione di energie, è infatti convessa nel suo andamento, e ciò significa diffidenza e bisogno di luoghi in cui ripararsi (nel matrimonio potrebbe aver trovato uno di questi ripari)… La G del cognome ricorda il cosiddetto gesto a pinza che ritroviamo in persone dotate di intuito, ricettività e bisogno di prendere per avere. Matteo in questo periodo è assetato di vita, di chiarezza, di dare respiro a una condizione che gli va ormai stretta, diventando padrone della propria vita, ma soprattutto è assetato di prendere autonomia da un padre che seppur amato molto, ha generato un rapporto conflittuale».
«Matteo non è un bello nell’accezione del termine, ma è un uomo sicuramente affascinante che si piace e sa di piacere, un narciso del passato. La sua indole è quella dell’imprenditore, del commerciante. È un uomo che comunque ha sofferto, ma il suo pudore verso i propri sentimenti ha fatto sì che tutto venisse chiuso in una bolla insonorizzata, e si nota sin da giovane quanto siano ampie queste rotondità nel cognome, che sembrano circoscrivere il bianco, grafologicamente l’inconscio. In sostanza è assolutamente molto interessante, ricco di spirito e sfaccettature; nella firma, è senza dubbio al passo con i tempi».
Quando da Sedile di Porto si addentrava nei vicoli in direzione del centro della città antica Matteo, dopo aver percorso un paio di centinaia di metri, arrivava a Largo S. Giovanni Maggiore, particolare 140 della mappa [76.5]. A fine Settecento, come sappiamo, quel rione era abitato da negozianti di seta. Uno di questi si chiamava Gaetano Cogna, benestante, portava profondo rispetto a don Michelangelo, era più giovane di lui di una dozzina d’anni, sposato con Antonia Pastena. Tra tanti figli, i Cogna avevano avuto il 4 marzo 1784 una bella ragazzotta paffuta, Francesca. Matteo se ne invaghì. Aveva dodici anni più di lei. Michelangelo e Catarina Masucci approvarono. I due ragazzi si fidanzarono ufficialmente e si sposarono lunedì 15 novembre 1802 [76.6][76.7].
Nel processetto matrimoniale, Francesca Cogna sottoscrisse con una buona firma la dichiarazione di rito «Per deporre e far costare [cioè constare, render noto] il mio stato libero, atteso sposar mi voglio a D. Matteo Gallo, il quale non è mio parente, né compagno, e tra di noi non v’è canonico impedimento… Io non son mai partita da questa Capitale mia padria, ed abito nel Ristretto della Parrocchia di Giovanni Maggiore; non ho fatto voto di castità né di religione, non son stata casata, ma solo al detto D. Matteo Gallo ho data parola di fede matrimoniale e questa è la verità». Il Settecento era alle spalle, la donna a Napoli ormai studiava, leggeva, scriveva [76.8], non speditamente, con tratto incerto, ma faceva tutto e ne era giustamente orgogliosa. A modo suo si sentiva fiera della propria modernità. Si era sposata molto giovane, a diciott’anni, ma il minimo l’aveva studiato.
Negli anni in cui Francesca si fidanzò e si sposò, il modo di vestire delle donne non era più tanto ricco come nel Settecento, non era nemmeno ancora neoclassico perché i Bonaparte non erano ancora arrivati, risentiva dell’influenza inglese attraverso John Acton e la sua corte femminile, e risentiva anche del modernismo snello introdotto dalla rivoluzione del 1799. Così Francesca sotto la veste non portava il busto, neanche i “puf” e le “saccocce”, tantomeno i cerchi di cent’anni prima, e il punto vita era rialzato sotto il seno. L’unico grosso problema era che in quegli anni cominciavano a impazzare le stoffe di cotone e i colori chiari, sull’onda della diffusione del cotone, e gli abiti in seta venivano considerati antiquati. Ma le famiglie Gallo e Cogna, negozianti di seta, non ne volevano proprio sapere di quella brutta moda da quattro carlini…
Matteo e Francesca andarono ad abitare a Sedile di Porto 92, quindi nella casa della famiglia di lui, non di lei, ma per la semplice ragione che lì spazio ce n’era a sufficienza per tutti. E ciò vale specie se ripensiamo alla densità raggiunta a casa Gallo di Praiano a fine Seicento.
Superando i genitori e senza contare le gravidanze finite male, Matteo e Francesca nella loro vita ebbero dieci figli, cinque femmine e cinque maschi, in media quasi un anno sì e uno no su un arco di 24 anni, il primo (Giovanni [76.9]), nato nel 1803, come acclarato nella commemorazione funebre nel 1853, e l’ultima (Marianna) nata nel 1826 [76.10][76.11], quando Francesca arrivò a 42 anni. Gli diedero nomi presi a piene mani dalla famiglia di lui, segno questo di una prepotenza consolidata: Giovanni, Teresa [76.12], Caterina [76.13] (nata nel 1805, morì a 68 anni nel 1873), Giuseppa [76.14] (nata nel 1809, morì a 64 anni anch’essa nel 1873), Tommasa [76.15] (nata nel 1812, morì a 69 anni nel 1881), Pasquale (nato nel 1815 [76.16][76.17]), Luigi [76.18], Michele (nato nel 1820 [76.19][76.20]), Pietro (nato nel 1824 [76.21][76.22]), Marianna (come già detto, nata nel 1826). È curioso notare che nella famiglia, nonostante una evidente ripetitività, quasi mai a un maschio veniva messo lo stesso identico nome di un suo antenato diretto, semmai quello di uno zio, come la mossa del cavallo a scacchi.