cap 75

La Real Casa nel 1786 aveva aperto il negozio di seta a Sedile di Porto non lontano da quello di Giuseppe e Michelangelo, e gli aveva portato via gran parte della clientela. Forse aveva fatto bene Giuseppe subito dopo, a gennaio 1787, a trarre le conseguenze da quell’insidia sfrontata, a cedere al fratello la sua quota dell’attività e uscirsene. Come non bastasse, la meccanizzazione del filatoio e del telaio nel tessile avevano accresciuto enormemente la produttività della lavorazione del cotone, il cui volume di mercato era aumentato a ritmi sempre maggiori. Il miglioramento della qualità e l’adozione di politiche di prezzo stavano sostituendo sul mercato la seta e il lino con il cotone. L’appellativo di Michelangelo negli atti ufficiali non era «pubblico mercadante», né «magnifico», come era stato per Crescenzo, quanto piuttosto «proprietario» o semplicemente «don», a testimonianza di una relativa perdita di rilevanza professionale e sociale, di uno spostamento dell’immagine personale da operatore della seta a possidente.
Arrivò anche qualche momento di scarsa liquidità che rese difficile la puntualità nel pagamento dei fornitori. A trattare le questioni finanziarie c’era Matteo [75.1], figlio di Michelangelo. Una volta, nel 1804, Matteo trentaduenne non ce la fece a onorare gli impegni nei confronti di un fornitore austriaco [75.2]. Noi «D. Saverio Durango e D. Matteo Gallo in vigore di lettera di cambio de tredeci gennaio corrente anno… per questa nostra prima e sola di cambio pagaremmo all’ordini S. V. delli signori Luigi Sterzl e Compagni li sopradetti ducati quattro milla quattro cento sessanta sei e granna 80 effettivi in moneta d’argento sonnante ed in pezze di Spagna del valore di 126 grana l’una, per la valuta dalli medesimi ricevuta nel prezzo e valore di tante bellerie venduteci sciavo di Dogana, per avercele prima tutte vedute e rivedute ed in nostro potere ricevute, anzi immesse nel nostro respettivo magazino in questa Regia Dogana, e della qualità, prezzo, cannegio e bontà della mercanzia sudetta ce ne dichiariamo ben contenti e soddisfatti. Qual pagamento promettiamo di farlo alla raggione di ducati trecento per settimana incominciando dal giorno 28 di questo mese di gennaro, e così poi in ogni otto giorni consecutivi continuare il sudetto pagamento di trecento ducati per lo spazio di due mesi da quello, promettendo di pagare in poi ducati trecento cinquanta invece di sudetti ducati trecento per settimana sino all’intiero sconto di sudetti ducati quattro milla quattro cento sessanta sei e grana 80 effettivi. E mancando del pagamento di qualsivoglia settimana si possa la presente nostra cambiale contro di noi protestare in curia di qualsivoglia notaio, ed indi incusare in ogni tribunale, Corte, luogo e Forro. E ne rispettivi matturi promettiamo di far buon pagamento. Addio. Le sudette firme sono di proprie mani de signori Gallo e Durango. Notar Gaetano Antonacci di Napoli».
I pagamenti proseguirono come promesso ma solo fino a fine marzo 1804, quando le somme versate settimanalmente furono inferiori a quanto pattuito. A quel punto «La ragion cantante di Sterzl e compagni supplicando espone a Vostra Maestà come deve conseguire dai signori D. Saverio Durango e D. Matteo Gallo in forza di cambiale protestata la somma di ducati ottocento trentaquattro… Perciò ne ricorre alla Maestà Vostra e la supplica benignarsi destinare uno de vostri regii consiglieri del Supremo Magistrato de’ Commercio, perché possa procedere alla spedizione delle lettere esecutoriali contro dell’anzi detti debitori Gallo e Durango una colle spese e lo riceverà ut Deus etc.». «Il signor consigliere di Giustizia. D. Vincenzo Lotti sull’esposto. Proveda». «Provisto a 26 aprile 1804. di Giovanni».
Così come Crescenzo tessitore di primo pelo nel 1740, trentenne, non era riuscito a rispettare i tempi di consegna dell’abito da donna in drappo di seta ricamato con fili d’oro e argento, e questo insuccesso ne aveva forgiato il temperamento, la stessa cosa capitò a Matteo che trentaduenne, invece di entrare in crisi, uscì dal commercio della seta, rilanciò e imboccò la professione di “mercadante di ragione”.
Feci questa scoperta nel corso della mia ricerca ai primi di febbraio 2010 quando, andando a ritroso nel tempo e trovandomi quasi smarrito all’inizio dell’Ottocento, ottenni dall’Archivio storico diocesano di Napoli le carte del processetto matrimoniale di Matteo. Le lessi più volte e passai parecchi giorni a elaborare congetture, che si rivelavano sbagliate, sul significato di questo termine; dal vocabolario della lingua italiana riuscivo solo a immaginare che il significato fosse “mercante di conti”, una cosa incomprensibile! Alla fine, fui aiutato dall’ottimo direttore dell’Archivio storico del Banco di Napoli, oltre che da alcune lettere dell’abate Galiani.
Fin dal Seicento i mercadanti di ragione costituivano una rete, con omologhi corrispondenti in ogni grande città europea. La cosa funzionava così: un cliente (supponiamo di Napoli) che volesse acquistare una merce da un fornitore operante in una certa città estera (supponiamo Parigi), si recava da un mercadante di ragione nella propria città (Napoli) e gli depositava l’importo in ducati del Regno di Napoli e di Sicilia occorrente per il determinato acquisto. Il mercadante di ragione di Napoli scriveva al proprio corrispondente di Parigi e gli diceva di pagare in franchi la somma pattuita tra cliente e fornitore, sulla base del cambio vigente “franco francese – ducato napoletano”. I due mercadanti di ragione conteggiavano anche un aggio per sé, in appositi registri annotavano gli importi e alla fine dell’anno calcolavano il debito e il credito netto intra-cambisti. Naturalmente parlavano e scrivevano bene le lingue. Incredibilmente, il santo protettore dei cambisti o cambiatori era S. Matteo.
Il mestiere del mercadante di ragione era importante anche per i re impegnati in guerre, perché i reggimenti dovevano poter acquistare con rapidità ed efficienza armi e vettovaglie con danaro spedito dalla sede del reame. I pagamenti del mercadante di ragione potevano essere dovuti per onorare impegni dei rispettivi clienti anche di natura non commerciale, magari di semplice mecenatismo. A Napoli nell’Ottocento, riferisce Galasso, c’erano 56 «cambisti».
Questo di Matteo fu il quarto stadio di evoluzione in un secolo dell’attività di famiglia, visto che Crescenzo, Giuseppe e Michelangelo erano passati dalla produzione di drappi di seta al commercio, poi Michelangelo dalla seta all’immobiliare, infine Matteo al credito di cambio estero. Cercai di capire se nella storia economica d’Italia questo fosse un tipico modello evolutivo o involutivo. Rimasi sorpreso nel trovare che le maggiori ricerche su questo argomento avevano riguardato le economie marittime e, in particolare, Venezia, Genova, Pisa. Guarda caso, le repubbliche marinare sorelle di Amalfi.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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