cap 74

Con una rapidità mai vista prima nel Regno di Napoli, Giuseppe Bonaparte introdusse una serie di innovazioni politiche, sociali, istituzionali. Recepì e attuò molti progetti che gli illuministi giacobini del Settecento avevano elaborato ma avevano lasciato sulla carta. Ci riuscì fondamentalmente per tre ragioni: ebbe la forza di imporre queste riforme, senza cercare il consenso sociale e d’altra parte non l’avrebbe mai ottenuto visto quale scarsissimo sostegno la popolazione aveva dato ai repubblicani alla fine del Settecento; trasse questa forza dalla presenza militare francese a Napoli; finalizzò questa presenza a contrastare gli inglesi che erano alleati dei Borbone e stazionavano in Calabria e in Sicilia. Nell’isola Ferdinando IV si legò ai nobili locali, soprannominati Gattopardi.
Giuseppe Bonaparte abolì la feudalità e i privilegi fiscali ai baroni; ad agosto del 1806 istituì l’imposta fondiaria e un nuovo catasto onciario. Con l’introduzione della fondiaria furono sostituite ben ventitré contribuzioni dirette per perseguire un criterio di giustizia distributiva.
Il 15 luglio 1808 Giuseppe Bonaparte divenne re di Spagna, come era successo per Carlo di Borbone. Al suo posto, due settimane dopo, il 1° agosto, Napoleone incoronò re di Napoli Gioacchino Murat. Questi rimase in carica sette anni, fino a marzo del 1815, e proseguì l’opera del predecessore.
A ottobre 1808 Murat istituì i registri dello Stato Civile. Il mese dopo creò il “Corpo degli ingegneri di ponti e strade”. Questo organismo si distinse nel corso degli anni per opere di grandissima importanza, dal ponte della Sanità a via Posillipo, dagli scavi di Ercolano al Campo di Marte, e si distinse anche per un piano di espansione della città nei suoi dintorni, principalmente nell’area collinare. Furono fatte le strade che portano a Capodimonte e al Vomero e furono poste le premesse per un nuovo modello di insediamento diffuso a Napoli, basato sulla villa.
Le ville realizzate negli anni di Murat avevano tutte un giardino, come luogo di delizie, antistante l’edificio, dalla parte del panorama. Il resto del terreno della tenuta era organizzato a produzione, e si facevano convivere le coltivazioni già presenti nella zona e le specie esotiche importate. Le tenute erano gestite con criteri di economicità, nel senso che i prodotti coltivati venivano destinati al mercato. Il lavoro della terra era svolto soprattutto da salariati giornalieri assunti per le varie esigenze nei diversi periodi dell’anno. Lo stesso valeva per i siti reali, a cominciare da Capodimonte, i quali dovevano essere finanziariamente autonomi, per statuto dovevano trarre dalla gestione le risorse necessarie anche ai futuri investimenti.
Nei siti reali non mancavano interessi di carattere scientifico ed estetico. Davanti alla Reggia di Capodimonte fu introdotta una coltivazione di mais e lungo il suo confine una vigna. In questo periodo la botanica si affermò a Napoli come scienza autonoma; nel 1809, su progetto di Giuliano De Fazio in collaborazione con il botanico Michele Tenore, fu progettato e costruito l’Orto Botanico, contiguo e contemporaneo all’Albergo dei Poveri.
Questo processo di gestione economica orientata allo sviluppo appariva modernissimo, rivoluzionario a Napoli. Paradossalmente non lo era per Michelangelo, che aveva imparato da Crescenzo come programmare la crescita e la messa a reddito delle coltivazioni di una masseria e che però la masseria gliel’aveva portata via il sequestro militare. La novità maggiore riguardava semmai l’architettura del casino, che nel Seicento e nel Settecento era semplicemente funzionale alla masseria, mentre ora si trasformava in una villa neoclassica, alla francese, un po’ da megalomani. Il valore complessivo si spostava dalle delizie alla casa.
A partire dal 1813, pur migliorando il feeling con la gente, Gioacchino Murat cominciò a soffrire per il declino politico di Napoleone e l’ostilità britannica e francese. Con il trattato di Casalanza, firmato presso Capua il 20 maggio 1815 dai generali austriaci e murattiani, il Regno di Napoli tornò ai Borbone.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
View all posts by Riccardo Gallo