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Torneremo più avanti a imbatterci nel Duca d’Ascoli. Per ora, tuttavia, dobbiamo citare una questione importante che lo riguarda. Mentre il casale in Italia ha una storia stratificata e ha una sua dignità per così dire istituzionale, la masseria aveva una struttura meno stabile ed era legata più alle vicende delle colture agricole che non propriamente a quelle della comunità sociale. Nel Mezzogiorno il termine “casale” comparve per la prima volta tra il Mille e il Duecento, conseguenza dell’abolizione della servitù della gleba. Come spiegò Agostino de Lorenzo, sulla collina di Capodimonte esisteva anticamente un villaggio, chiamato Fannia, di cui dopo il Duecento non si trovò più memoria nei documenti. In precedenza le fonti storiche parlavano solo di casali e mai di masserie. La comparsa di queste ultime andò a occupare una precisa collocazione nella struttura antropo-geografica del territorio meridionale, che si suddividerà in ordine d’importanza, in città castelli, borghi, casali, masserie e case sparse.
Il territorio di proprietà di Michelangelo a Capodimonte nelle carte ufficiali era denominato proprio “masseria”. Nel gergo dell’epoca era una proprietà più importante di una casa sparsa e meno di un casale. La villa napoletana settecentesca, anche quando ricopriva elevate dimensioni, poteva essere vista come un’elaborazione della masseria, destinata alla produzione di beni per l’autoconsumo di una famiglia proprietaria agiata.
Nel 1804, un anno prima dell’arresto di Onofrio D’Angelo, e quindi prima che l’incartamento arrivasse alla sua attenzione di Sovrintendente generale di Polizia, il cavalier Vincenzo Marulli dei Duchi D’Ascoli, uno dei principali protagonisti della vita politica della restaurazione borbonica dopo la Repubblica napoletana, pubblicò un piccolo trattato su “L’arte di ordinare i giardini”, in cui riportò sull’argomento esperienze maturate in lunghi soggiorni all’estero; scrisse oltre che dei giardini anche delle grandi ville. In quel testo, approfondì per la prima volta a Napoli il tema dell’abitazione più di quello delle opere pubbliche. Questa scelta, per quanto visto a proposito dei borghesi proprietari, incontrava i gusti e le preferenze di moda.
Il tipo di villa proposto alle classi agiate, secondo Fraticelli, era l’unifamiliare, il “terrace” di tipo inglese; non coincideva più con la residenza, eccezionale espressione della nobiltà; assumeva caratteri di massa, destinato ad ampie fasce di popolazione agiata, borghesia proprietaria agraria o ricca per commerci e attività imprenditoriali o per redditi provenienti da professioni e da cariche pubbliche.
È di tutta evidenza che la proposta era indirizzata a ceti che a Napoli cominciavano a essere presenti con un’ampiezza crescente. Nelle altre città europee, in particolare a Londra e Amburgo, dove Marulli aveva fatto le sue esperienze, questi ceti erano invece già affermati da tempo. Il concetto di parco veniva esteso all’intero territorio confermando il gusto diffuso in Inghilterra «per la bella aperta campagna», come la definì Horace Walpole nel 1780. Scriveva Marulli: «Il distretto consacrato alla delizia non cessa di essere produttivo: anzi, se i possessori di grandi tenute nel piantar gli alberi, nell’edificare l’abitazione loro, o de’ rustici, e nel dirigere i sentieri, consulteranno i precetti da me suggeriti, le intere province potranno diventare amenissimi giardini». Questo tipo di villa presupponeva, oltre che la conduzione diretta e la residenza del proprietario nel fondo, anche grandi investimenti necessari all’ammodernamento agrario dell’azienda.
Insomma, per il Duca d’Ascoli Soprintendente Generale di Polizia, aver conosciuto per i suoi doveri di Polizia una bella masseria come quella di Michelangelo fu una grande opportunità per affinare l’hobby dell’architettura di ville e giardini e non solo, come vedremo.
È da notare, infine, una cosa molto interessante: Horace Walpole è lo stesso Horace/Valpole citato nella lapide all’interno del muro di cinta della casa quale costruttore nel 1745, come riferito da Venditti.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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