L’impostazione familiare di Michelangelo e Catarina Masucci fu quasi completamente ricalcata su quella di Crescenzo e Carmina Fenizia: sette figli Crescenzo, di cui un reverendo e una monaca; otto figli Michelangelo, di cui due reverendi e una monaca. Cattolicissima era la prima famiglia, altrettanto lo fu la seconda. Nel 1767 Michelangelo quasi ventottenne sposò Catarina diciannovenne. Il primogenito nato nove mesi dopo lo chiamarono Giovanni; nel 1783 a quindici anni il ragazzo fu avviato dal nonno al sacerdozio.
L’anno dopo la nascita di Giovanni, nel 1769, nacque Luca, come si deduce dall’atto di nascita di un nipote [68.1]. Il terzo maschio, Matteo, nacque l’11 settembre 1772 [68.2]. Il quarto, Marco, nel 1780. Il quinto, Pietro, nel 1784 (morirà infatti a quarant’anni nel 1824 [68.3]), quando la madre Catarina aveva 36 anni. Tra il primo e il quinto maschio, nacquero tre bambine: Maddalena, Maria (nel 1776, visto che morirà nel 1854 a 78 anni [68.4]) e Rosa. In totale dunque otto figli [68.5], nati un anno sì e uno no.
Quattro dei cinque maschi avevano il nome degli evangelisti. Il quinto quello dell’apostolo Pietro, primo papa della Chiesa cattolica. Delle femmine, due presero il nome dalle donne legate a Gesù Cristo, la terza quello della bisnonna paterna Rosa Irace, nonché della zia sposata a Gaetano Foti e della cugina monaca pinzoca, figlia di zio Giuseppe. Anche lei si fece monaca. Più cattolici tradizionalisti di così non si poteva.
Di Luca trovai una firma [68.6], dell’8 aprile 1815, al battesimo di Pasquale figlio di Matteo, e allora ne chiesi la perizia grafologica. L’esito fu: «Persona semplice, dolce, staccata dal suo tempo, persona pratica, che non si fa ammaliare da elementi superflui, lunatica, sembra risultare la personalità più debole della famiglia: è infatti la meno votata per il comando ma più per l’esecuzione. Dalla firma trapela un bisogno d’affetto. Il cognome è scritto legato, a differenza del nome che è staccato fra lettere, significante di una non ben sviluppata personalità al di fuori del contesto familiare o ciò che riconduce al proprio cognome. È tendenzialmente un inguaribile sognatore». Insomma, una personalità coincidente con il profilo dell’omonimo evangelista.
Anche Marco, appena quindicenne, fu avviato al sacerdozio. Anche a lui fu garantita la solita somma annua lorda di 36 ducati, così come Crescenzo aveva fatto per il figlio Pasquale e per il nipote Giovanni, fratello di Marco. Il 4 marzo 1795, Michelangelo fece questa donazione [68.7], con la solita finalità di consentire al ragazzo la «prima clerical tonsura», con le solite severe condizioni risolutorie che ben conosciamo, a valere questa volta sulla rendita della masseria Ponti Rossi a Capodimonte. Lo zio Giuseppe ancora creditore (dal lontano 1787) di 6mila ducati nei confronti di Michelangelo, dichiarò (bontà sua!) che – qualora non fosse stato soddisfatto da Michelangelo nel credito, non vi avrebbe certo rinunciato ma – avrebbe ceduto il suo grado di privilegio nel credito a vantaggio del nipote Marco, come dimostra l’atto notaio Massa 4 marzo 1795. Soprattutto per la crisi economica che quattro anni dopo contribuì a far scoppiare la rivoluzione, nel 1795 il ducato aveva perso una metà circa del suo valore. Pertanto i 36 ducati in quel momento valevano molto meno della stessa cifra 35 anni prima.
Dell’ultimo maschio, Pietro, come ho detto, trovai che morì appena quarantenne nel 1824. Era rimasto scapolo, viveva con il resto della famiglia a Sedile di Porto 92, di professione qualificato «proprietario». Quest’ultima annotazione confermava che in quel momento l’attività commerciale di famiglia nel campo della seta non esisteva proprio più e che chi non faceva altro viveva di rendita sulle proprietà.
Di Matteo invece ci occuperemo con grande ampiezza nel seguito del racconto. Se non fosse nato Matteo, infatti, non sarei venuto al mondo neanche io.