cap 69

Michelangelo aveva scelto come colono cui affidare in censo la masseria di Ponti Rossi a Capodimonte un tale Onofrio D’Angelo, anzi più esattamente Onofrio di Angelo, che ci andò a vivere con la moglie ed era di famiglia locale. Una volta, nel 1805, poiché questo censuario aveva accumulato un forte ritardo nel pagamento del canone, Michelangelo esasperato e implacabile mandò in protesta la cambiale che si era fatta dare in garanzia e gli fece recapitare le lettere esecutori ali.
Usò come fattorino un giovanotto, Antonio Iascone, figlio di Filippo portiere del Tribunale del Commercio, che Michelangelo frequentava assiduamente. Ma non si fermò a queste lettere. Fece pressioni e riuscì a far mandare una squadra di polizia a casa dell’inquilino. Era la notte tra domenica e lunedì 1° settembre 1805. Il fatto che fosse al termine di un giorno di festa gli sembrò opportuno, così la squadra di polizia poteva anche fare un blitz senza autorizzazione firmata dalle autorità competenti, tanto avrebbe potuto in qualche modo giustificarsi con il fatto che era domenica e gli uffici per l’autorizzazione erano chiusi…
Dieci giorni dopo, l’11 settembre, sarebbe stato il giorno del compleanno di Matteo, che avrebbe compiuto 33 anni, un’età molto importante. Matteo si era sposato a trent’anni con Francesca Cogna, diciottenne, e gli erano già nati due figli, il piccolo Giovanni e una femminuccia, Teresa. Stava per nascere anche un’altra figlia, che avrebbero chiamato Caterina, in memoria della nonna Catarina Masucci, moglie amatissima di Michelangelo, da poco scomparsa.
Vediamo come andò la vicenda con l’inquilino moroso [69.1][69.2]. Nei giorni precedenti il 1° settembre 1805, «andando debitore di d. Michelangelo Gallo per attrasso [ritardo di pagamento] di affitto di una di costui masseria in ducati centocinquanta in forza di cambiale, temendo di venire carcerato», Onofrio D’Angelo di giorno «stiede sempre guardigno», ma di notte dormiva tranquillo in casa sua, con la propria moglie. Anche perché il suo patrocinatore [difensore] Gregorio Lamanna lo aveva rassicurato ché la giurisprudenza gli era favorevole, negando la possibilità di arresto per il semplice reato di morosità. Ma quella notte «circa le ore Cinque e mezza», Onofrio D’Angelo «mentre egli dormiva in sua casa, intese bussare per ben due volte la porta della sua abitazione, ed avendo dimandato chi mai si fosse, gli fu risposto di essere la squadra. A tal dichiarazione, non avendo egli commesso alcun delitto, aprì, ma sul momento si vide prendere pel petto, e per le braccia da sei persone, quattro delle quali armate di schioppi, e due vestite di giumberga lunga, e perché si stava all’oscuro, non tenendo essi catturanti nessuno la lanterna, non li potesse immediatamente distinguere, e soltanto conobbe alla voce una delle cennate due persone vestite di giumberga, cioè d. Antonio Iascone, nell’avergli costui imposto di vestirsi, giacché era arrestato per lo menzonato debito di ducati centocinquanta ad istanza di Michelangelo Gallo, ed appena vestito, uno degli armati di schioppo gli legò un fazzoletto alla mano dritta [destra], e quindi tutti lo condussero per la strada di Pontirossi, e giunti presso l’Osteria di Domenico Carraturo Tavernaro, e patentato della règia Camera della Sommaria nel luogo denominato S. Lesciella, perché la notte erasi ben avanzata, pensarono di fermarsi nell’osteria anzidetta, e di fatti avendola bussata imposero al Domenico di aprire, giacché volevano colazione. Quivi dunque si trattennero sino alle ore otto, e mezza, donde poi partitisi, ed oggetto di prendere più tempo, lo condussero esso Carcerato per la strada denominata l’arenaccia di Pontenero, ed indi verso il largo di S. Maria di Fede [a 2,7 km], dove anche si trattennero alquanto, per modo che quando cominciava l’alba riconobbe pienamente d. Antonio Iascone figlio del Portiere Filippo, ed osservò che tre delle indicate persone armate di schioppi vestivano di nuova divisa di uomini di Polizia, cioè giumberga lunga di colore oscuro Francescano, e con mostra di color pistacchio, una delle quali chiamavano per soprannome lo Pazzariello, e si fida di riconoscerlo, del pari, che un tal d. Gennaro [Terracino, il Caporale] chiamato il Capitano vestito di saica [saia] colore oscuro, calzone lungo, e cappello a tre pizzi, ed un altro vestito di giamberga di bassa statura, e di emaciato volto, donde poi il Iascone e l’altra persona vestita di giamberga se ne andarono via, e gli altri quattro, cioè i tre uomini di Polizia, e D. Gennaro lo scortarono nelle Carceri di S. Maria dell’Agnone [in direzione via Duomo]. E finalmente dimandato esso carcerato da chi si poteva un tal fatto contestare, rispose, che deporre si poteva non solo Domenico Bello, il quale si trovò in sua casa, ma eziandio da altra convicina gente».
«Di fatti esaminatosi in prima il di Bello anzidetto, costui ha verificato la deposizione di D’Angelo in tutte le sue parti; e nelle circostanze soltanto di essere stato presente all’arresto di D’Angelo verso le ore cinque, e mezza, nella propria casa dicendo di non fidarsi conoscere i catturanti».
«Passato quindi ad esaminare tre altri abitanti lungo la strada di Pontirossi, uno di essi ha deposto, che circa le ore sei della menzonata notte del giorno primo dello stante intese il calpestio di molta gente unita passar di là, dove anche i cani altamente latrarono, e che al far del giorno gli fù raccomandato che l’Onofrio D’Angelo era stato carcerato nella propria casa, senza saperne la cagione, ed al più tardi poi la Madre dell’enunciato tavernaro Domenico Carraturo gli palesò, che la detta gente armata circa le ore quattro era stata nella sua osteria, ed alle ore sei vi fece ritorno portando arrestato il D’Angelo, e che ivi per molto tempo si trattennero. E dagli altri due Testimoni, si è deposto, che la mattina del seguito arresto incontratisi con Marianna Davorio moglie di D’Angelo, per averla veduta molto afflitta, le ne dimandarono la cagione, ed ella rispose, che la notte avevano carcerato suo marito nella propria casa. E finalmente esaminata la menzonata madre del tavernaro Domenico Carraturo, costei ha confermata l’andata delle dette genti armate nella sua osteria circa le ore quattro della divisata notte del primo del corrente, e ritorno, che le genti stesse vi fecero alle ore sei con un carcerato d’avanzata età, donde poi alle ore nove lo portarono via».
«Su questa posizione dei fatti» concludeva Gregorio Lamanna, patrocinatore di D’Angelo la mattina dello stesso 1° settembre 1805 in una memoria al Soprintendente Generale di Polizia Sig. Duca d’Ascoli e all’Ispettore Giovan Battista De Simone «il mio rispettoso parere, purché sia della Superiore approvazione dell’E.V., si è di doversi proseguire le diligenze per quindi procedersi al più esemplare castigo di catturanti, i quali hanno abusato del loro incarico, con farsi fraditanto restituire, recto tramite, il Carcerato D’Angelo nella propria casa, donde è stato estratto, contra il prescritto dalle leggi, affinché volendo, possa il Creditore farlo vigilare».
Il giorno immediatamente seguente, il Soprintendente di Polizia recepì [69.3] le proposte presentate dal patrocinatore di D’Angelo, prese atto che «rilevato da un rapporto del lo De Simone di essersi spontaneamente presentato nelle prigioni di S. Felice l’uomo di polizia Giuseppe Ficarola alias Vermicellino», diede ordine «di far sollecitamente restringere in carcere tutti gli altri che hanno avuto parte in tale eccesso» e sollecitò una proposta «di pena economica da infliggersi loro prontamente, non amando io che un esempio come il presente abbia ad allungarsi».
Dunque l’abuso di potere costituito dall’arresto ingiustificato, commissionato da Michelangelo, fu punito con l’immediato contro-arresto di quanti avevano commesso l’abuso.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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