cap 62

Come ho fatto per Crescenzo all’inizio di questo racconto, inizio a farvi conoscere meglio anche Michelangelo. Questa che segue è la perizia della grafologa alla quale diedi quattro firme di Michelangelo, una di quando si sposò nel 1767 [62.1] e tre dell’Ottocento, di cui l’ultima del 17 ottobre 1815 [62.2], senza specificare altro che data e luogo in cui la firma era stata apposta. Le diedi anche alcune firme di Matteo, figlio di Michelangelo, ma di questo parleremo più avanti. In quel momento la grafologa non conosceva ancora Crescenzo, perché non le avevo ancora dato i suoi scritti. In particolare, non sapeva assolutamente nulla della professione di Michelangelo.
«Indole più del commerciante che dell’imprenditore, a differenza del figlio [Matteo] che si è dimostrato nel tempo ancora più intraprendente. Questi allunghi ad uncino sono proprio il simbolo di chi pesca nel mondo delle idee e che di queste ne fa una concreta produzione terrena, poiché il connubio tra sanguigno e linfatico rende il tratto acquatico, azzardo a dire che il suo lavoro poteva anche avere a che fare con l’acqua (ripeto è un azzardo). È una persona istintiva, organizzata, con un’attitudine realizzatrice ed una capacità di trovare soluzioni immediate, ha un equilibrio fra intuizione e deduzione, tra logica ed idealismo, tra pratica e teoria. Attività e riflessione si alternano con inventiva ed apertura di spirito. Paragonando la giovane età di Matteo a quella del padre MicheleAngelo, la più grande differenza è la maggiore serenità del secondo rispetto al primo, ed una personalità più risoluta. Nel tempo, MicheleAngelo ha un ritorno agli affetti, lo si vede nel nome Angelo che diviene minuscolo e il tratto si gonfia. Si può dire che pone i remi in barca lasciando il comando al figlio…».
Impressiona l’affermazione che Michelangelo aveva indole più del commerciante che dell’imprenditore. Ricordate che erano stati proprio lui e il fratello Giuseppe a convincere Crescenzo maestro tessitore e imprenditore «a volersi ponere a negoziare in piazza, siccome si fece»?
Non fu possibile svolgere un’analoga analisi grafologica per la moglie di Michelangelo, Catarina Masucci, perché lei era analfabeta, firmava con una croce.
Negli ultimi anni del Settecento, Michelangelo vestiva in modo diverso dal Crescenzo visto nella parrocchia di S. Luca il 5 gennaio 1734. L’abbigliamento aveva infatti abbandonato le esagerazioni che avevano esasperato il rococò. Ci si avviava a una semplificazione, si stava tornando al gusto neoclassico. Tutto ciò, in realtà, secondo Pisetzky era conseguenza di un notevole influsso inglese sulla moda in tutta Italia. A Napoli questo influsso fu anche maggiore, per la tendenza suggerita da John Acton e per la scelta anglofila compiuta in campo politico e sociale dalla regina Maria Carolina. E tuttavia questa moda un po’ dandy non trovò il gradimento da parte dell’aristocrazia napoletana, la quale sentì puzza di bruciato, fiutò prodromi borghesi e rivoluzionari.
Michelangelo era molto combattuto se condividere l’atteggiamento dell’aristocrazia contro la novità o se differenziarvisi ancora una volta e imboccare la modernità. In realtà, i Gallo non erano moderni e non erano mai stati aristocratici. Avevano «fatigato» per reggere socialmente, avevano accumulato reddito e proprietà, avevano raggiunto tenori di vita superiori all’aristocrazia, ma erano minacciati dalle innovazioni come quelle di S. Leucio e ora anche dalle mode dell’abbigliamento.
In ogni caso, a Michelangelo venne facile, quasi spontaneo, togliere ogni ricamo dalla giamberga; le falde presero una linea “scappante”, come si diceva all’epoca. Si fece confezionare un abito “flacco”, il frack come preferivano chiamarlo in molti. I suoi calzoni erano più lunghi di quelli di inizio secolo. Sostituì le scarpette a fibbia con stivali alti. Dalla biancheria tolse ogni merletto. Si adeguò alla moda della cravatta, che era una striscia di battista arrotolata più volte attorno al collo e poi annodata sul davanti per finire con due cocche, cioè con due estremità corte.
Insomma, Michelangelo si modernizzò ma non volle annettere alcun significato per così dire politico-sociale a quel suo vestire sobrio. E comunque non rinunciò ad alcun lusso, anche esteriore, nell’ambito della sobrietà. Anzi.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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