«La massaria» era «in circa moggia dieciotto in corpo non a misura [pari a 60.567 mq, poco più di sei ettari], con case, sita tra la villa di Posillipo e Fuorigrotta confinante colli beni di Tagliamonte, di Verniero Celestino, del reverendo D. Gennaro Falangola e del patrimonio della magnifica Rosa, dalla parte di settentrione colla via vicinale che da Posillipo scende in detta massaria, per cui vi è processo presso lo scrivano del Sacro Consiglio Gaetano Castaldo, per impedire il passaggio alli naturali di detta real villa di Posillipo, e colla via regia di Fuorigrotta», come risulta dalla «Descrizzione delle case site fuori Grotta» e «della casa situata sopra Posillipo» è costituita dalla relazione redatta in data «15 gennaro 1787 da Michele Massa Regio Ingegnere» [53.1] e da me fatta trascrivere [53.2]. I naturali erano gli indigeni di Posillipo. La masseria era denominata «Il passaggio», evidentemente nel senso che stava sul valico tra i due versanti della collina.
La casa sul versante di Fuorigrotta e Pozzuoli confinava con un’altra masseria di proprietà «Giorgio» e stava «sita e posta a sinistra uscendo la Grotta di Cocceo nell’andare da Napoli a Pozzuoli; alligato a detta grotta v’è un cavamento dentro monte sotto il compreso della detta massaria per uso di tagliar pietre, indi siegue il muro che divide detta massaria dalla strada publica in fine del quale muro v’è il casamento». Un altro piazzale di cava di tufo giallo si sviluppa all’imbocco della galleria Laziale, lato Piedigrotta, a monte dell’attuale stazione di Mergellina. In questo punto, lato Fuorigrotta, in via Grotta Vecchia, si apre l’imbocco di un antico tunnel romano. Il tunnel è completamente dissestato perché le opere di rinforzo effettuate nei secoli sono quasi del tutto crollate. Un dipinto di Giacinto Gigante della prima metà dell’Ottocento raffigura la grotta.
Il casamento era composto da: cinque bassi, un bassolino; un forno contiguo a quest’ultimo; tredici stanze; una stalla; un «lavadore»; altri tre vani «vacui»; un cortile scoperto; un «pozzo sorgente con portella per attinger l’acqua». I bassi avevano prevalentemente il soffitto a «lamia», cioè a volta; due avevano l’ingresso sulla sinistra del portone della casa e due sulla destra. Una volta entrati nella casa, si accedeva alle stanze percorrendo «tese» di scala e «balladori». Tutte le stanze avevano la copertura con travi e «valere» [53.3]; la stalla era il locale più grande ed era coperta con sette travi e otto «valere»; aveva mangiatoie per due cavalli. Le serrande delle porte di ingresso ai bassi e alle stanze erano per lo più a un’anta («un pezzo»), in un caso a due ante; le serrande delle finestre delle stanze erano a due o a quattro ante, con o senza «cancella in legno». Quattro stanze erano dotate di finestre «affacciatore», tre stanze avevano un «balconcino affacciaturo» con «rinchiera in legno», sei stanze infine avevano solo una o due o tre finestre «a lume». Per il riscaldamento d’inverno, metà dei bassi e delle stanze avevano il «comodo» di un «focolare con cappa»; soltanto una stanza del piano superiore dotata di focolare era sprovvista di cappa. Uno dei bassi aveva uno «stipo a muro». I bassi avevano un finestrino sopra la porta d’ingresso. Tre locali avevano il «commune», altrettante lo «spigone» [53.4], altrettante ancora avevano il «tarcenale» [53.5]. Lo spigone era una rete usata come controtelaio. Il tarcenale era una grossa trave utilizzata per sostenere un solaio a “chiancarelle” (assicelle di legno disposte in parallelo).
L’altra casa, posta sul versante di Posillipo in direzione di Napoli, confinava con le case di proprietà Tagliaventi, alle quali era collegata mediante un «supportico [cavalcavia] rinchiuso da due archi di fabrica». Era più piccola ma ancor più ariosa di quella sul versante di Fuorigrotta. Aveva: un giardino degli aranci; un giardinetto; un «piscinale», cioè una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana; due cortili di cui uno «scoverto» e l’altro con «lavadoro»; un «vacuo bislungo con ingegno da premer l’uve a due viti, ed un tinaccio»; due «cellari», cioè due cantine con copertura a lamia con «cancella di legno marcita ed in parte mancante senza serranda, e le fabriche di detto atrio e cellaro… tutte lesionate e marcite»; dei due cellari uno era sufficiente per mantenere 30 mezze botti; una «cisterna cavata dentro monte, che riceve le acque piovane che calano da sopra Posillipo»; un vano «vacuo a cinque valere [spazio tra una trave e l’altra] con mangiatore per quattro animali e comodo di commune»; un forno; una piccola antica cappella; un bassolino; cinque stanze tutte con copertura a travi, ciascuna con un numero di valere da un minimo di quattro e mezzo a un massimo di nove, ciascuna con una o due finestre, serrande a quattro ante e uno stipo con «portella».
La struttura e le condizioni in cui versavano le due case e la composizione delle piantagioni ricordavano a Crescenzo tutta la nobiltà dell’antico proprietario della masseria, il marchese di Pietramolara, ma anche il degrado derivante dalla carenza di manutenzione e di cura, carenza protrattasi per un secolo e mezzo.
Nei giorni immediatamente seguenti la compravendita, Crescenzo fece installare «porte e chiavi portone nuovo verso sopra Posillipo con mascatura e chiave, e dalla parte di Fuorigrotta altro portone ben accomodato con chiave e mascatura, ed altri commodi necessari».
Il prezzo di acquisto ammontò a ducati quattromila cinquecento trentasette e grana 30, corrispondenti, in media, tra podere e case, a 250 ducati per moggia, ovvero 750 ducati per ettaro.