Ogni essere vivente, anche del regno animale, quando per qualsiasi ragione cambia habitat e va a vivere in luoghi molto diversi da quello in cui ha vissuto i primi anni della propria vita, istintivamente ambisce in età matura o senile a conquistare nel nuovo habitat quel sito che più somiglia, o in ogni caso più richiama alla memoria il luogo della sua infanzia. Per essere esplicito, mi riferisco alla sindrome di King Kong che, negli omonimi film, scala l’Empire State Building perché le sue cime gli ricordano le rocce natie, e lì viene ucciso dal fuoco degli aerei.
La cartografia di Napoli dei primi anni della seconda metà del Settecento, con il particolare 502 del foglio 17 della mappa di Carafa e Carletti [52.1], mostra l’area di Villanova, oggi coincidente con via Manzoni all’altezza dell’attuale omonima via Villanova. Le ville di Posillipo erano prospicienti il mare e appartenevano alle famiglie Caracciolo, Perrella, Coppola, Pignatelli, Milano, Punzo, Cantalupo, Moretti, Spadaro, Roccella. L’urbanizzazione vera e propria invece si fermava a Mergellina, alla Torretta, dove una fila modulare di case di pescatori costituiva un esempio settecentesco di case a schiera. Nel seguito esse scomparvero e furono sostituite dagli odierni edifici di via Piedigrotta. Posillipo era insomma una sorta di alto zoccolo con al bordo a mare pochissime costruzioni, e una collina all’interno con pochissime masserie e ricca di piantagioni. Il panorama del Golfo di Napoli visto da Posillipo , raffigurato da P. Fabris e W. Hamilton nel 1776, era come sempre molto bello. La costruzione del collegamento stradale tra Mergellina e Posillipo fu affidata da Gioacchino Murat all’ingegner Romualdo De Tommaso nel 1812 e fu completata fino a Coroglio sotto re Ferdinando IV tra il 1830 e il 1840.
Raccontò Moryson a fine Cinquecento: «I giardini fuori le mura sono così belli che neanche quelli delle Esperidi possono esservi paragonati: sono ornati di statue, labirinti, fontane, viti, mirti, palme, limoni, aranci, cedri, lauri, gelsi, rose, rosmarino, e tutti i tipi di fiori e frutti, tanto da parer un Paradiso terrestre».
Praiano ha un’altitudine media di 120 m. sul livello del mare, Posillipo ha un’altezza che al massimo va dai 150 m. sul livello del mare del Parco Virgiliano (Monte Coroglio) ai 160 di via Manzoni in prossimità di Porta Posillipo, ai 180 in prossimità dell’incrocio con via Petrarca. Rispetto al lato più noto della collina, quello cioè che rivolto verso est guarda Capri, l’altro a nord-ovest è molto più scosceso in direzione della piana di Fuorigrotta e Bagnoli. Per la verità, questo secondo versante che parte dall’apice della collina e che si chiama Villanova ha pendenze all’inizio non eccessivamente ripide; perciò nel Settecento era utilizzato per tenerci coltivazioni agricole terrazzate. A metà versante si ha però una improvvisa rottura di pendenza in corrispondenza al cosiddetto Tufo Giallo Napoletano, con una parete verticale alta tra dieci e venti metri. Sotto di essa, il versante riprende un andamento più dolce e va a raccordarsi con la sottostante Fuorigrotta. Il 27 marzo 2012, trovandomi a Napoli, volli osservare con attenzione questo versante. Chiesi al tassista di fermarsi all’uscita del tunnel da Mergellina a Fuorigrotta. Vidi che sul versante scosceso esistevano ancora terrazzamenti coltivati, credo a vite.
Ora, obiettivamente, quale altro sito di Napoli diverso da Posillipo, anzi da Villanova, con mare, roccia, terrazzamenti coltivati, due versanti di panorama che guardano altrettante insenature tra loro separate, avrebbe potuto mai richiamare nella memoria di Crescenzo la natura di Praiano e Vettica Maggiore e avrebbe potuto sollecitare il suo interesse economico e la sua analisi delle opportunità di un investimento in quei luoghi?
La storia è questa [52.3]. A metà Seicento Giovan Battista Iovine, marchese di Pietramelara (negli atti notarili si legge Pietramolara, ma la denominazione giusta è con la “e”, non con la “o”. Pietramolara è un comune della provincia di Caserta), nonché «regio consigliere», era proprietario di una masseria con due case a Villanova, sulla sommità di Posillipo, una sul versante nord-occidentale in direzione di Pozzuoli, l’altra su quello sud-orientale di Posillipo in direzione di Napoli. Il sito all’epoca comprendeva soltanto quattro villaggi rurali collegati con la zona di Mergellina da un’antica strada greco-romana. Nel 1642 alcuni frati conventuali del terz’ordine vi fondarono un piccolo convento, con la funzione di sanatorio, e una chiesetta che dedicarono a S. Antonio.
La masseria aveva un ruolo di grande importanza nell’economia agraria nei secoli passati.
Nel 1645 Giovan Battista sposò donna Francesca Savia Pimentelli e donò «alli figli nascituri da detto matrimonio ducati 25.000», una cifra colossale per l’epoca, comprensivi del valore della masseria. Nel 1689, morto Giovan Battista, suo figlio Antonio e la vedova Francesca fecero stimare la masseria e la vendettero per 1.700 ducati a un loro creditore, un certo Giovanni Crisafulli. La somma fu pagata su un conto del Banco de’ Poveri. Per completezza di cronaca, l’anno successivo, il 18 gennaio 1690, saldati i debiti, don Antonio Iovine sposò la ventenne donna Costanza Moccia, dei marchesi di Montemalo.
Dopo quarant’anni, nel 1731, anche questo Giovanni Crisafulli si era riempito di debiti, verso il proprio figlio Nicola, verso il genero Alfonso Bottigliero e verso un sacco di altra gente; cosicché pensò bene di sistemare tutte le pendenze cedendo le sue proprietà ai figli e, in particolare, la masseria a Nicola. Nel 1743, eccettuate le case, la masseria fu censuata [censo era il canone in danaro o in derrate o in prestazioni che i contadini dovevano al signore in riconoscimento del suo diritto di proprietà] a un tale Domenico Romano per 140 ducati l’anno e «colle prestazioni di una mezza botte di vino e cento pigne», ma i figli di questo Domenico Romano dopo un po’ smisero di pagare il canone, cosicché il proprietario ne riottenne il possesso. Nel 1753, a sua volta, Nicola Crisafulli lasciò in eredità i diversi beni ai suoi cinque figli, a uno dei quali, tale Antonio Maria, andò appunto la masseria. Questa nel 1764 fu affittata a un certo Pasquale De Martino. All’epoca però Villanova restava una località lontana, difficilmente raggiungibile, e inoltre l’affitto era di difficile «esazzione»; il lavoro agricolo a cottimo non era per nulla facile da regolamentare con uno specifico contratto («estaglio»); gli affitti arretrati generavano «attrassi» (arretrati) che erano difficili da recuperare; il luogo era «erto e scosceso», aveva bisogno di «continua riparazione per le acque piovane». Per tutte queste ragioni, il proprietario Crisafulli nel 1773 decise di mettere in vendita la masseria.
Fu allora che come acquirente si fece avanti il «magnifico Crescenzo Gallo». Crescenzo e Carmina ormai avevano sistemato tutti i figli; quattro erano sposati (Giuseppe, Michelangelo, Rosa Maria, Teresa), due erano entrati in ordini religiosi (Pasquale, Marianna), una ancora in capillis ma stabilmente a casa (Angela). L’attività nell’Arte della seta proseguiva a ritmi meno ricchi di prima ma soddisfacenti. Dunque, Crescenzo aveva la mente libera e la borsa gonfia per fare l’investimento sogno di una vita. Antonio Maria Crisafulli dichiarò di «avere, tenere e possedere la masseria come vero signore e padrone in burgensatico». Il termine burgensatico indicava nell’età feudale il possesso di immobili immune da ogni soggezione feudale o statale.
Crescenzo questa volta trattò velocemente, con contabile 7 agosto 1773 [52.4] attinse dal suo conto bancario molto liquido presso il Banco di S. Eligio, pagò, comprò. Il rogito definitivo fu firmato il 2 agosto del 1773 dinanzi a Lonardo di Franco notaio in Napoli [52.5].
Poiché oggi quell’area è intensamente edificata e ha una configurazione molto diversa dal Settecento, dovetti impegnarmi a fondo per acquisire elementi di certezza su dove la masseria fosse realmente ubicata. Ci riuscii nella primavera del 2014 studiando un saggio del 2007 di Franca Assante sulla antica chiesa S. Maria della Consolazione a Posillipo, che si trova in via Villanova 13. A pagina 85 di quel saggio si fa riferimento a tale Giovanni Benedetto Iovene, a fine Cinquecento proprietario (assieme a Maddalena Grillo Voltabio) di un giardino attiguo al convento sul cui suolo poi fu ricostruita la chiesa. Il titolo di proprietà derivava da un contratto stipulato con il notaio Decio Benincasa il 29 maggio 1596. Accertato che Giovanni Benedetto Iovene era antenato diretto del Giovan Battista Iovine del 1645, ottenni l’anello di congiunzione tra la masseria e la chiesa di S. Maria della Consolazione. Questa si trova a trecento metri dall’incrocio tra via Villanova (che scende sul versante che guarda Capri), via Manzoni e via Porta di Posillipo (che prosegue sul versante verso Fuorigrotta) [52.6].