cap 51

Il quartier generale dell’attività di «negoziare in piazza» fu organizzato dai Gallo a Sedile di Porto, a poco più di un chilometro da Orto del Conte in direzione di via Toledo. A Napoli esistevano sei seggi o sedili o piazze: i più antichi erano quelli di Capuana e di Nido, cui si erano aggiunti i Sedili di Porto, Portanova, Montagna, Forcella. Tutti risalivano al Trecento. Dalle diverse mappe di Napoli, soprattutto in quella di Carafa e Carletti del 1748 nei particolari 133 e 134 del foglio 11 [51.1], si vede strada Sedile di Porto perpendicolare a via Mezzocannone, a poche centinaia di metri dall’Università oggi Federico II, fondata a metà del Duecento, a cento metri dall’odierno corso Umberto I [51.2].
Nella mia ricerca, affrontai per la prima volta Sedile di Porto quando nell’autunno 2009, andando a ritroso nel tempo, mi ero bloccato al 1820 nel quartiere de’ Vergini. Non sapevo come superare la barriera, non c’era traccia anteriore della famiglia Gallo. Poi, con grinta e fortuna, trovai il rogito notarile dell’acquisto di un immobile, di cui ci occuperemo nel seguito, e scoprii che nel 1816 Matteo, uno dei figli di Michelangelo, era domiciliato in Sedile di Porto 92. Fu una svolta importantissima.
La prima cosa che feci, ancora ignaro delle trasformazioni introdotte dal progetto Risanamento di Napoli a fine Ottocento, fu andare a vedere a metà novembre 2009 il luogo che aveva quello stesso indirizzo e numero civico. Scoprii una trattoria: “Mangi E Bevi Di Grasso Luigi” [51.3]. Entrai, a fine mattinata di un giorno feriale, era l’una e mezza, l’anno accademico era iniziato, il locale era pieno di mensole ricche di bottiglie di vino, era affollato di studenti dell’università, seduti in grandi tavoli, uno accanto all’altro magari senza conoscersi, giovani e affamati. Mi sedetti anch’io, occupai uno dei pochi posti liberi. Ordinai orecchiette alle cime di rapa, e subito dopo mi alzai e andai a parlare con il titolare Luigi Grasso, “nomen omen”. Gli confidai con poche parole troppo frettolose che i miei antenati probabilmente erano stati i proprietari del locale. Sbagliai a non precisare che mi riferivo a ben 250 anni prima. Lui si irrigidì, disse che stava là già da molti anni e che no, non poteva essere come dicevo io, ché lui aveva comprato bene, insomma era lui il proprietario e basta!, troncò così ogni discorso e tornò in cucina, con una reazione simile a quella di Concettina Bartolone di Praiano a proposito di Casa Gallo di via S. Giovanni. Insomma ero stato proprio stupido a fare discorsi che si prestavano a equivoci da parte di un bravo oste. Per il piatto di pasta e una bottiglietta d’acqua pagai appena quattro euro e mezzo.
Uscii dalla trattoria, feci alcune foto all’edificio, mi accorsi che esso inglobava una piccola chiesa, detta di S. Onofrio de’ Vecchi, e continuai a percorrere, ammirare, immaginare, sognare Sedile di Porto tre secoli prima. Nel mio comportamento certamente non usuale per quel posto, fui osservato da un garzone di una officina auto, con i capelli rossi, ricci, grosso, faccia intelligente, comunicativa, il quale mi chiese cosa cercavo, che volevo. Questo di offrire informazioni non richieste è uno dei modi di essere napoletano, cortese, curioso e invadente, sia pur legittimamente da un certo punto di vista. Scambiai con lui qualche parola, ci presentammo, mi disse come si chiamava, con nessun altro scopo che chiacchierare e socializzare. Non ci trovai niente di male, anzi, avevo piacere di parlare finalmente con qualcuno che non troncasse i rapporti come aveva fatto Luigi Grasso poco prima. Il mese dopo, poco prima di Natale 2009, tornai a Sedile di Porto per riguardare l’edificio del civico 92. Sentii una voce in lontananza: «dottor Gallo!». Mi voltai, era il garzone rosso e riccio, aveva una faccia contenta di stupire ché si ricordava il nome mio. Anche questo di stupire, con occhi intelligenti ed effetti teatrali, è un modo di essere napoletano.
Tre secoli prima, tuttavia, Sedile di Porto era molto diverso. Numerosi edifici esistenti all’epoca di Crescenzo, anche belli e di un certo valore storico, furono abbattuti e ricostruiti con altra architettura dal progetto Risanamento di Napoli a fine Ottocento. Nel Settecento, invece, la contrada era costituita da «un complesso tessuto viario in cui viveva un popolo di artigiani e piccoli commercianti, ormai estinto, venditore di tele locali e sete flosce per ricamo… La via Sedile di Porto, o Strada media, per quanto ristrutturata conserva ancora l’antico tracciato… Vicoli che univano la Strada Media alla zona portuale sono scomparsi e in qualche caso ne è stato conservato il nome (ad esempio via degli Acquari)»
Al centro della contrada c’era la chiesa di S. Onofrio, fino al secondo Ottocento preceduta da portici medioevali. Era stata eretta sul luogo di una precedente cappella, in origine dedicata alla Madonna del Carmine. Poi nel 1606 vi fu collocata una statua di Sant’Onofrio che, in quel periodo, era oggetto di una grande devozione popolare. La chiesa fu intitolata al santo e ai “vecchi”, perché lì vicino c’era anche un grande ospizio per anziani. L’edificio dei Gallo con il civico 92, o come si diceva la «Casa», aveva una struttura ben separata rispetto alla chiesa.
Gli interventi di restauro e i rimaneggiamenti di fine Ottocento, promossi dall’architetto Raffaele Cappelli, tolsero alla chiesa parte della sua bellezza originaria. Fu un intervento invasivo, quasi tutti gli elementi medievali del tempio furono rimossi. Non vennero risparmiati neanche i portici medioevali posti all’entrata, appartenenti al vecchio Seggio dei Griffi. La struttura religiosa quando la visitai io era a navata unica, con cappelle laterali e transetto. Pregevole tesoro della chiesa, un crocifisso ligneo del Seicento opera di Giuseppe Sarno.
All’Archivio di Stato di Napoli gli ottimi funzionari della Sala Lettura mi insegnarono a consultare il cosiddetto Primo Versamento del “Catasto Provvisorio”, stabilito da Gioacchino Murat nel 1809. Questo riporta la situazione degli immobili a quella data, senza alcuna mappa ma con annotazioni descrittive particolareggiate. Il 20 gennaio 2010 potei consultarne la busta numero 167 e scoprire che a fine Settecento a Sedile di Porto n° 90 c’era un basso con una portella e una finestra, ai nn. 91 e 93 c’erano due botteghe ciascuna con una porta carrozzabile, mentre al n° 92 c’era una «Casa» di quattro piani con 48 «portelle e finestre». Nel 1809 questi immobili risultavano «proprietà di Gallo Michelangelo» [51.4].
Ognuno dei quattro piani aveva dunque una dozzina di portelle e finestre su tre lati dell’edificio: il primo prospiciente strada Sedile di Porto; il secondo l’attigua piazzetta Sant’Onofrio de’ Vecchi e il cortile interno tra l’edificio e l’antica chiesa omonima; il terzo l’attuale via S. Aspreno, dove c’è il Palazzo della Borsa, il quale ingloba l’antica chiesetta di S. Aspreno.
Se si ipotizza che i vani avessero in media una finestra e mezza ciascuno, si può stimare che in ciascuno dei quattro piani ci fossero sette vani. Le botteghe e il basso della casa di Sedile di Porto erano adibiti a fondachi. Crescenzo usò questi fondachi come magazzino e sede dell’attività commerciale, oltre che di piccole residue lavorazioni. Nel corso degli anni arrivò a conservarvi «mercanzie» per un valore massimo di 27 mila ducati, come documentato nell’atto del Notaio Donato Massa di Napoli, 4 marzo 1795.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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