Le condizioni igieniche della città nel Cinquecento e nel Seicento portarono alla peste del 1656. Poi dopo l’unità d’Italia fondachi, bassi e bassolini furono bonificati e trasformati in abitazioni ad elevatissima densità senza le benché minime condizioni igieniche. Il sindaco di Napoli degli anni Ottanta dell’Ottocento, Nicola Amore , a maggio 1884, quando ci fu l’ennesima epidemia, rivelò che a partire dal 1835 si erano susseguite in città ben nove epidemie di colera con un bilancio di 48mila morti.
La primavera inoltrata favorì il contagio, soprattutto in bassi e fondachi dei quartieri Mercato, Pendino, Porto e Vicaria. Su dodicimila pozzi per l’acqua, oltre settemila erano infetti o inquinati. Al centro delle strade si formavano rivoli di acqua piovana sui quali galleggiavano avanzi di pasti, saponate, residui vari. Le botteghe sprigionavano tanfi inimmaginabili. In ogni angolo c’erano cumuli di immondizia. Il picco dell’epidemia si ebbe nei mesi estivi, come sempre accade, come accadde anche con la peste del 1656. In tutta la provincia, 16mila persone furono colpite dal morbo, 8mila morirono, quasi tutti a Napoli (6.971). Duecento anni prima, la peste in città ne aveva mietuto 33mila. Nel 1884, Enrico [97.1] ultimo nato di Michele aveva sei anni, Ginevra [97.2] ultima nata di Pietro ne aveva due, ma le ottime condizioni abitative della famiglia non fecero correre alcun pericolo.
Il Governo elaborò una legge speciale per il risanamento di Napoli basato su: questione igienica, trasformazione edilizia, finanziamento dell’impresa. Il parlamento varò la legge a gennaio 1885. Il Comune elaborò un progetto. Il sindaco Nicola Amore ricevé da Roma poteri straordinari di intervento. Banche e istituti finanziari, nessuno dei quali di Napoli, costituirono una società denominata “Risanamento di Napoli” e la dotarono di 25 milioni di lire di capitale. I lavori cominciarono quattro anni dopo e si protrassero nel Novecento, fin dopo la prima guerra mondiale. Furono abbattuti bassi e fondachi, furono bonificati i quartieri più vecchi, quelli verso il mare, furono costruite case economiche su 45mila metri quadrati e nuovi edifici per civili abitazioni su 61mila metri quadrati, fu creata l’arteria chiamata Rettifilo, oggi corso Umberto, fu completato il quartiere Chiaia, fu ristrutturato il rione Santa Brigida confinante con il teatro S. Carlo, fu edificata la Galleria Umberto I, le due funicolari di Chiaia e di Montesanto per collegare il centro storico con il Vomero entrarono in funzione tra il 1889 e il 1891, iniziarono nuovi rioni per i meno abbienti, fu aperta una galleria di attraversamento della collina di Posillipo, partì un processo di sviluppo residenziale della stessa Posillipo, fu avviata la realizzazione del Parco Margherita, andò scomparendo la facciata verde sotto corso Vittorio Emanuele.
Una descrizione spietata ed emozionante dello sgombero dei fondachi al Porto fu fatta a fine novembre da Salvatore Di Giacomo sul Corriere di Napoli.
Il colera del 1884 costituì una sorta di spartiacque storico, nel senso che dopo quell’evento la questione napoletana assurse all’attenzione dell’Italia intera e del governo nazionale, ma al tempo stesso cominciò a evidenziarsi l’incapacità dei parlamentari eletti a Napoli a svolgere un ruolo di guida che fosse capace di far dimenticare quello tanto importante in passato della città capitale del Regno delle Due Sicilie.