La fondata speranza di stabilizzare la proprietà dell’abitazione esercitò un benefico effetto su quei membri della famiglia che erano in ritardo di maturazione. Per primo su Michele, che prese a corteggiare una giovane di ottima famiglia, Raffaela Masillo. Per la verità, per l’epoca, non era tanto giovane, essendo nata il 21 novembre 1836 [95.1]; dunque nel 1861 aveva venticinque anni. Anche questo era un cambiamento dei tempi, se pensiamo che Vincenza aveva sedici anni quando nel 1654 sposò Nofrio a Praiano. D’altra parte Michele ne aveva 41, e sedici anni di differenza bastavano.
I Masillo erano gran signori, abitavano in «Strada Pirozzoli N. 3» [95.2], ai piedi della collina di Capodimonte, a settecento metri da S. Maria Antesaecula. Il padre, Emmanuele, figlio del defunto Giuseppe, era stato un buon avvocato ed era morto da tempo. Negli anni Sessanta dell’Ottocento viveva invece una sorella del padre, Carolina, «Matertera» cioè zia. La madre si chiamava Errichetta D’Amato.
Raffaela aveva due fratelli, Carlo e Giovanni, e una sorella, Francesca. La quale sposò Ercole Vitale, proprietario di un castello a Trani; dai due nacque Clodilde che sposerà Alberto Sarri [95.3]. Nel Novecento il ramo proseguirà con Franceschino, che sposerà Zita Zini, quindi con Alida e Alberto.
Giovanni ebbe tre figli: Gaetano, padre di tale Gaetanino protagonista di una vita travagliata e alla fine suicida; Rosa, che rimase nubile e fu sempre accompagnata da una parente di statura minuta e meno abbiente detta comunemente Chicchina; Maria che, essendo la più piccola di età sia pur non di stazza, era chiamata Marietta.
Mentre sua sorella Francesca era una grossa matrona e scelse di posare per una grande tela a olio [95.4], invece Raffaela aveva lineamenti delicati e nel 1862 a 26 anni si fece ritrarre da Manesi, noto artista dell’epoca, in una miniatura 15×22 cm. [95.5], che io posseggo.
Dopo il 1860, sotto l’influsso della guerra contro l’Austria e l’alleanza con la Francia, comparvero i “giubbetti alla zuava”, corti come il giacchettino della divisa dei militari. La versione spagnola di questi giubbetti si chiamò “bolero”. Fugace capriccio del 1862 fu il “saltimbarca”, un po’ lunghetto, grigio e foderato di colore che voleva corrispondere alla giacchetta degli uomini. Maggiore voga acquistò il rotondo “mantello talma”; il taglio era «semplicissimo, scollato e largo d’incollatura… Per le piccoline v’ha il mantello Bussy di velluto o di drappo… nel taglio diverso poiché si assetta a crespe e contiene quindi maggior ampiezza di stoffa… In prima linea abbiamo la rotonda, o gran bavera o talma che si voglia chiamarla, con o senza maniche», come spiega Pisetzky.
In quegli anni riapparve la moda del trucco: «tinture d’ogni colore per carnagione, capelli, ciglia e labbra». Nel 1865 tornarono di moda gli «orecchini, anche di similoro». Come si vede nella miniatura del 1862, Raffaela aveva condizione sociale ed età per seguire la moda del mantello, del trucco alle labbra, anzi per anticipare quella degli orecchini di non troppo valore.
Il matrimonio tra Michele e Raffaela [95.6] si svolse lunedì 10 luglio 1865 nella parrocchia della sposa, chiesa di SS. Annunziata a Fonseca 25, a cinquecento metri da S. Maria Antesaecula. La chiesa era meno bella di come divenne di lì a poco; non c’era l’altare maggiore, donato nel 1873 dalla chiesa di S. Teresa degli Scalzi. C’era il quadro dell’Annunciazione, opera di Giò Lonardo, discepolo di Luca Giordano. Per supplire alla mancanza del padre della sposa e dei genitori di Michele, all’organizzazione del ricevimento ci pensarono Carlo fratello di lei e Pasquale, l’avvocato, fratello dello sposo. Ottenni il relativo processetto [95.7] dall’Archivio Diocesano di Napoli.
Una seconda ragione che convinse Michele a sposarsi fu che, un anno dopo l’Unità d’Italia, entrò come «Impiegato civile» nell’organico della Pubblica Amministrazione. Nonostante il rigore della burocrazia dei piemontesi, fiorirono nel Regno d’Italia casi di malversazioni e ruberie. Nel 1865, l’anno del matrimonio di Michele, il ricevitore generale delle imposte di Palermo fuggì con 70 mila franchi; a Torino fu scoperta una stamperia di tagliandi del debito pubblico e un impiegato delle Finanze fu processato per questa vicenda. Nel 1866 emersero frodi di impiegati nella vendita di beni ecclesiastici; a Napoli un ufficiale di polizia fu arrestato per essersi appropriato di fondi destinati ai pubblici servizi, come riferisce O’Clery.
La storia di Michele invece è questa. Dopo il 1861, il patrimonio ecclesiastico fu gestito dallo Stato italiano [95.8] mediante una norma che estese al territorio nazionale la legislazione già vigente in Sardegna; quella norma restò in vigore fino ai Patti Lateranensi del 1929 firmati da Mussolini. Per gestire il patrimonio ecclesiastico furono istituiti alle dipendenze del Ministero di Grazia, Giustizia e Culto sette «Regi Economati generali dei benefizi vacanti» e sotto ciascuno di essi un certo numero di subeconomati provinciali. Gli Economati amministravano i beneficî in provvisoria «vacanza» del titolare, consegnavano i benefici al nuovo investito, vigilavano sulla conservazione del patrimonio, sull’osservanza delle norme che regolavano la materia, rappresentavano in giudizio gli enti amministrati.
L’organigramma del Regio Economato generale di Napoli contava «un economo generale, un segretario generale, un ispettore centrale, un capo dell’ufficio amministrativo, un capo sezione, cinque segretari, un ragioniere capo, un ragioniere, un cassiere, un controlloro». Michele era architetto, come vedremo e come dimostrato nel certificato di morte della figlia Adele nel 1875 [95.9]. Fu assunto a 42 anni e fu destinato a ricoprire uno dei cinque posti di segretario [95.10]. Chissà se sulla sua assunzione pesarono più la sua professionalità di architetto, oppure i rapporti sociali tenuti dai due fratelli Pasquale e Pietro, oppure la stima che le autorità ecclesiastiche nutrivano verso la famiglia Gallo in memoria del canonico Giovanni. Fatto sta che, mentre emergevano frodi da parte di altri impiegati nella vendita di beni ecclesiastici, Michele fu incaricato di occuparsi della conservazione architettonica delle chiese. Paradossalmente, curò i beni della Chiesa senza riuscire a salvare il patrimonio proprio.
Dunque, dopo l’unità d’Italia, per la prima volta nella storia millenaria della famiglia, uno dei Gallo veniva assunto con lavoro subordinato di tipo impiegatizio da un’azienda di Stato. Fu una svolta storica. Come notò Galasso, a fine Ottocento i ceti aristocratici e borghesi di Napoli avevano tradizioni redditiere, professionistiche e burocratiche. Dopo Crescenzo, Michelangelo e Matteo, grazie alla madre Francesca Cogna Pasquale e Pietro si affermarono in professioni liberali. Mancava la tradizione burocratica. Michele, segretario del Regio Economato generale colmò la lacuna.