Alla morte di Francesco I di Borbone nel 1830, sul trono salì Ferdinando II delle Due Sicilie []. Il quale a fine 1832 sposò a Genova Maria Cristina, ultima figlia di Vittorio Emanuele I di Savoia.
Il 20 marzo 1833, per istruire un’istanza presentata da Gennaro de Causis, patrocinatore per sé e per Andrea e Giuseppe Esposito, creditori (evidentemente insoddisfatti) di Giovanni Spena, la Seconda Camera del Tribunale Civile di Napoli ordinò all’usciere Pasquale Ortega de Luna di andare a «riscontrare il foglio di udienza della già prima Sezione del Tribunale di prima Istanza del dì 5 agosto 1811», relativo all’aggiudicazione definitiva dei canoni di Frattamaggiore a favore di Michelangelo, con le relative incombenze e gli ordinò di «rilasciare certificato suppletorio».
A quell’epoca, non esistendo come oggi un’informatizzazione degli archivi giudiziari, agli uscieri veniva affidato il compito fiduciario di entrare nell’archivio, cercare sentenze e relativa documentazione, trascriverle e riferirne pro-veritate in giudizio. In quella circostanza, l’usciere impiegò chissà perché ben tre mesi per consegnare il certificato ordinatogli.
Matteo venne a conoscere in anteprima, o almeno credette di conoscere, l’esito della ricerca dell’usciere. Il suo cuore non resse all’angoscia. Cedette tre settimane dopo quella determinazione del Tribunale Civile del 20 marzo. Giovedì 11 aprile 1833, quattro giorni dopo la Pasqua, a mezzanotte Matteo Gallo morì improvvisamente [84.1]. Aveva sessant’anni. Finì drammaticamente. Portò con sé nella tomba tormenti e chissà se anche argomentazioni da far valere in Tribunale. Dopo quattordici minuti la luna entrò nel suo ultimo quarto. Era forse un segno premonitore che ci si avviava verso nottate senza luce, ma nessuno ci fece caso. Matteo lasciò la moglie Francesca Cogna e ben «dieci figli tra’ quali cinque minori». La maggiore età si raggiungeva a 21 anni. Tra questi minori, Michele, mio bisnonno, aveva poco meno di tredici anni, un’età delicata. Morire a mezzanotte è orribile per i cari che restano. Michele rimase sgomento; alle due del mattino di venerdì 12 aprile non ce la fece più a piangere e prese sonno, ma in meno di un’ora si risvegliò accanto alla salma del padre con un gran freddo interiore e con un terribile senso di colpa per aver ceduto alla stanchezza. E andò avanti a fatica fino alle prime luci dell’alba, quando poi crollò.
Le redini della guida della famiglia [84.2] le prese Francesca che, per quanto fosse un tipo sveglio e avesse un minimo sufficiente di formazione scolastica, era arrivata a 49 anni (compiuti da pochi giorni) sempre chiusa dentro casa a fare figli. Il primogenito Giovanni, ventinovenne, dava sostegno religioso, morale, amorevole alla madre, però era come se in famiglia non ci stesse proprio. Come sappiamo, dopo di lui venivano Teresa, sposata molto giovane, con il padre ancora in vita, e poi altre tre femmine: Caterina (nata nel 1805), Giuseppa (1810), Tommasa (1812); erano brave figliole, tutte nubili, di nessun aiuto economico, semmai erano loro adesso che, ventenni, senza un padre restavano anche senza dote. Di Luigi sappiamo quasi nulla, se non che era simile allo zio Luca, quello mite, troppo mite, morto molto giovane. Poi si passava ai cinque minorenni, tra cui Michele. Insomma, una famiglia allo sbando, abituata a un tenore di vita che era già troppo alto con Matteo in vita, figuriamoci ora, residente in un palazzo sovradimensionato per le sue necessità. Carrozza e cavalli divennero di troppo, ma non furono vendute subito. Anche senza i rischi giudiziari e i costi connessi, non si sarebbe potuto andare avanti così.
Il 4 giugno 1833 il Tribunale Civile, avendo appena ricevuto dall’usciere il riscontro documentale, gli chiese in udienza di ricostruire ad alta voce tutta la vicenda di Frattamaggiore, cosa che quello fece scrupolosamente, a partire dal pignoramento in data 7 giugno 1811 dei canoni sopra Case e Giardini a danno del conte Giovanni Spena su istanza di Michelangelo, per poi passare all’asta con candelette, all’aggiudicazione «diffinitiva» il 5 agosto 1811 a favore di Michelangelo, alla registrazione di quella sentenza, fino al prezzo pattuito di 1.500 ducati. L’usciere Pasquale Ortega de Luna certificò anche di «non aver rinvenuto i capitoli di vendita, né obbligo fatto dall’aggiudicatario», e di non aver potuto accertare «se siasi consegnata la spedizione». Il certificato rilasciato dal Cancelliere del Tribunale fu registrato con il numero 16533 nel I uff. atti giudiziari di giugno 1833 [84.3].
Letta così sembra che l’usciere attestasse un buco nelle carte comprovanti gli adempimenti dell’aggiudicatario. Ma tanto bastò al Tribunale per considerare che una mancanza di prova equivalesse alla prova di una manchevolezza e, senza ordinare alcun riscontro, bastò per fargli dichiarare decaduto l’aggiudicatario Michelangelo Gallo e imporre un’immediata ripetizione “ex novo” della procedura di vendita.
Il 13 [84.4], il 15 [84.5] e il 31 [84.6] luglio 1833 il Tribunale dichiarò la regolarità della procedura e il deposito dell’atto da affiggere [84.7] per l’aggiudicazione provvisoria dei canoni di Frattamaggiore da svolgere il successivo 2 agosto: «si procederà all’incanto prep. [preparatorio] di 74 annui canoni infissi sopra case e giardini site in Frattamaggiore espropriati in danno di D. Gio. Spena, ed aggiudicati al sig. D. Michelangelo Gallo per duc. 1500 e per non essersi adempito alle condizioni di vendita si procederà alla vendita in danno contro i figli ed eredi di d. aggiudicatario Gallo, sulla prima somma offerta di duc. 1400. Ortega usc.». Il 10 agosto il Tribunale dichiarò che l’atto era stato regolarmente affisso a Frattamaggiore [84.8].