cap 7

In quegli stessi anni, come ha spiegato Rosalba Ragosta, ben un quarto della popolazione napoletana traeva sostentamento diretto o indiretto dalle attività nella seta. Il giovane Crescenzo, entrato in questa città caotica, compì con orgoglio e puntiglio uno sforzo enorme per non disperdere il proprio gruzzolo finanziario e il patrimonio di mestiere, valori morali e civili della sua famiglia.
Tre anni dopo la nascita di Michelangelo, Crescenzo fece domanda e a giugno del 1742 fu immatricolato nella Corporazione dell’Arte della seta. A spingerlo a presentare domanda fu in realtà un provvedimento adottato un anno prima, il 17 maggio 1741, dal governo del Regno, fortemente preoccupato per le conseguenze dell’eccessiva libertà che era stata via via lasciata agli operatori in questo campo. Chiunque era diventato libero di lavorare la seta, bastava lo volesse, anche senza la dovuta perizia, e ciò danneggiava la qualità del prodotto. Perciò nel 1741 il governo introdusse di nuovo l’obbligo per gli operatori della seta di fare domanda di iscrizione alla corporazione e di sottostare a un severo esame professionale. La commissione esaminatrice era costituita dal cosiddetto Consolato della seta, una sorta di Autorità di vigilanza del mercato, emanazione però degli stessi operatori e quindi non “super partes”. Gli operatori trasgressori, irregolari o abusivi, venivano colpiti da severe punizioni, il cui ammontare era deciso ad arbitrio dei consoli.
Le regole per accedere alla corporazione erano cambiate più volte negli ultimi 250 anni. Quando fu ufficialmente istituita l’Arte della seta nel 1477, l’accesso era molto selettivo. La politica del governo di quel tempo puntava alla fabbricazione di drappi di seta, prodotto di pregio a elevato contenuto tecnico. Venivano ammessi alla corporazione i mercanti, i maestri (filatori e tessitori) e i lavoranti. Erano accettati anche i lavoranti, purché lavorassero nelle fabbriche di drappi di seta; non lo erano i setaioli delle botteghe, fossero anche ricchi artigiani.
I mercanti portavano la loro conoscenza del mercato e anche del prodotto, come moderni “product manager”; commissionavano la lavorazione della seta ai maestri filatori, ai tessitori e ai lavoranti; insomma coordinavano l’intero processo produttivo. Venivano garantiti da una norma delle «Ordinationi» contro il rischio che a un certo punto la lavorazione per qualsiasi ragione venisse sospesa e non fosse più ultimata. I lavoranti inadempienti venivano multati, così chiunque era spronato a essere puntuale.
La separazione dei mestieri tra mercante e maestro era anticamente molto netta. Ai mercanti tra l’altro era vietato detenere telai a scopo produttivo. Poi nel Seicento e ancor più nel Settecento questa distinzione si era attenuata.
I tessitori operavano nel Regno in condizioni di monopolio, acquistavano la materia prima dai mercanti e rivendevano loro i prodotti finiti. I maestri tessitori iscritti all’Arte erano gli unici detentori ufficiali del sapere produttivo, perciò erano anche gli unici titolati a fare formazione professionale e a stabilire quali garzoni assumere e avviare all’arte. I garzoni dovevano avere non meno di quattordici anni; la loro scuola durava quattro anni. A diciotto anni erano pronti. Crescenzo aveva appunto diciotto anni quando nel 1728 lasciò Praiano e si trasferì a Napoli.
Dopo questa formazione, in ogni caso, i garzoni non erano liberi di lasciare il maestro, perché era sempre lui che decideva se continuare a tenere il garzone con sé o dargli la possibilità di andare con un altro maestro. E in ogni caso il garzone doveva passare per un’altra trafila, doveva perfezionarsi ulteriormente come lavorante apprendista per altri sei mesi.
I mercanti e i maestri tessitori erano più importanti dei tintori, erano liberi di decidere se, dove e a chi far tingere la seta, mentre i tintori non potevano lavorare in proprio, potevano tingere solo per conto di un cliente tessitore.
Nel Quattrocento l’organizzazione della corporazione era già modernissima, quasi come una moderna associazione industriale di settore. La direzione dell’Arte della seta fu affidata a tre consoli: un tessitore napoletano, un mercante del Regno e uno straniero; due erano esponenti delle componenti più forti della corporazione, cioè i mercanti e i maestri tessitori, e un terzo membro era neutrale. I consoli duravano in carica solo un anno, perché si volevano evitare rischi di sclerotizzazione.
Gli immatricolati avevano l’obbligo di stabilire collegialmente il prezzo dei prodotti, assicurare una mutua assistenza, osservare riti religiosi. E grande influenza per molti secoli avrà la componente religiosa sulle vicende della famiglia Gallo.
Nel Quattrocento gli immatricolati alla corporazione dell’Arte della seta avevano tanto potere che, per le piccole controversie, avevano il privilegio di essere giudicati da un proprio, separato e speciale Tribunale. Solo per casi gravi gli immatricolati potevano rivolgersi ai due massimi organismi generali del Regno, cioè alla Sommaria, massimo tribunale amministrativo e finanziario dello Stato (una specie di Consiglio di Stato e Corte de’ Conti assieme), e al Consiglio collaterale, organo giurisdizionale del vicereame di Napoli. I vantaggi fiscali ed economici derivanti dallo status di appartenente alla corporazione erano enormi, a cominciare dalla esenzione di dazi doganali per la seta grezza importata e destinata alla produzione di stoffe.
Quelli che venivano ammessi alla corporazione dovevano pagare una tassa di immatricolazione per un importo stabilito dai tre consoli. Per superare l’esame, dovevano fornire dettagli sulla localizzazione della loro attività e sugli strumenti adoperati.
Nel 1523, allo scopo di limitare ulteriormente l’accesso alla corporazione, l’esame fu indurito, con «diligente inquisitione» da parte dei consoli presso la Corte del Tribunale, sotto il controllo della Sommaria, per accertare: l’«abilitate», le buone «conditioni» economiche del candidato, il possesso di qualità morali («costume»). Nel 1528 e nel 1529 uno dei consoli fu un personaggio molto famoso, un tale Iacobo o Giacomo Gallo [7.1][7.2], il quale recuperò i registri della corporazione dopo un assedio e un’invasione militare subita da Napoli.
Per comprendere meglio alcune vicende della vita di Crescenzo, è bene sapere come si producevano i drappi di seta con fili di oro e argento. Questa lavorazione, presente a Napoli tra metà Duecento e metà Trecento, si sviluppò molto nel Seicento, quando migliorarono le forniture d’argento, furono istituiti controlli sulla qualità della produzione, fu innalzato il livello di formazione delle maestranze. Le tecniche di produzione dei fili di oro e argento erano due, molto differenti. «L’uso di Fiorenza», tecnica impiegata dai fiorentini, era quello dei battiloro. Questi artigiani inserivano un grano d’oro in mezzo a due pelli animali e lo battevano con un enorme martello, fino a ridurlo a una sottilissima foglia d’oro, di pochi micron di spessore. Poi c’era la tecnica dei tiraloro o tiratori, introdotta da una comunità di artigiani ebrei, che in botteghe artigiane fondevano l’argento e lo passavano attraverso grandi trafile con argani, fino a raggiungere lo spessore di un capello. Il filo d’argento veniva poi dorato. Dal punto di vista qualitativo, i filati dei tiraloro avevano una minor durata, pari però a quella dei tessuti che andavano ad arricchire, erano quindi beni di consumo, costavano meno di quelli dei battiloro ma avevano un prezzo superiore in quanto la relativa domanda di mercato era più alta dell’offerta.

About Riccardo Gallo
Riccardo Gallo (Roma, 23 settembre 1943) è un ingegnere, economista e docente italiano. Professore alla Sapienza, ha svolto compiti di risanamento del sistema produttivo italiano in ambiti governativi, finanziari, aziendali, riversando e incrociando le competenze acquisite. È stato definito il bastian contrario sia del management pubblico che del privatismo arrogante, estremista di centro. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore. Oggi è opinionista de L’Espresso.
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