Ci fu però una terza ragione altrettanto importante che spinse Michele a prender moglie. Pochi mesi prima, a ottobre 1864, si era sposato Pietro, l’ingegnere. Pur essendo il quinto figlio maschio (dopo Giovanni, Luigi morto piccolo, Pasquale avvocato rimasto scapolo e Michele), in pratica Pietro era stato il primo a mettere su famiglia. Sposò Concetta Gaudiosi [96.1], sorella di Leonilda e figlia di Gennaro, il quale nel 1859 aveva acquistato l’ultimo quarto del palazzo di S. Maria Antesaecula 112 che Matteo non era riuscito a comprare tra il 1815 e il 1823. Si trattava «del primo basso a sinistra del cortile, di una cantinetta nell’angolo a sinistra, del basso di fronte al cortile a sinistra della scala, di due quartini a destra e sinistra del secondo ripiano, di altro quartino a destra del riposo fra il primo e il secondo piano nobile e dell’appartamento a destra del secondo piano nobile, proprietà tutte espropriate a danno di Luisa Attanasio». Con questo matrimonio, riprese vigore un modello di socializzazione e imparentamenti all’interno di un «casamento», che era stato frequente in precedenza.
In diciassette anni (1865-82) Pietro e Concetta ebbero ben dieci figli [96.2]: Vittoria (nata nel 1865), Ester (1867), Elvira (1869), Giambattista (1870), Giselda (1871), Costanza (1873), Goffredo (1875), Olimpia (1877), Clotilde (1879), Ginevra (1882). Nel 1992, sfiancata da tante gravidanze, Concetta morì [96.3], a 48 anni. Stupisce questa numerosità di figli, visto che Pietro aveva studiato e che veniva da una famiglia che nella prima metà dell’Ottocento aveva sofferto per mantenere il giusto tenore di vita di tanti bambini.
La grafologa così interpretò la firma di Pietro [96.4]: «Persona con forte desiderio di affermazione, sensibile, ricettiva, ama prendere ma è propensa al dare, insicura con lievi frustrazioni indicate dalla presenza di schiacciamenti in zona media, persona portata per un lavoro manageriale, nonostante sia carente la fiducia in se stesso. Forte idealizzazione della figura paterna. Intelligenza rapida ed evoluta rispetto al suo tempo».
Tra il 1866 e il 1878 Michele e Raffaela ebbero sei figli [96.5], dei quali tre morirono presto: Francesca Saveria a quattordici mesi (primogenita, nata il 15 aprile 1866 [96.6], morta il 13 giugno 1867 [96.7]), Lucia nata nel 1869 [96.8] e morta a quindici mesi nel 1879 [96.9], Adele nata nel 1874 [96.10] e morta a diciassette mesi nel 1875 [96.11][96.12]; e tre sopravvissero: Maria Grazia (1867 [96.13]), Alberto (1871 [96.14]), Enrico ultimo nato nel 1878 [96.15][96.16], il 2 maggio, anno in cui Raffaela compì 42 anni e Michele 58.
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, la mortalità nel primo anno (16,8%) calò e si avvicinò ai minimi dell’epoca (15,5% in Francia, 15,8% in Inghilterra). La probabilità di morire tra 1 e 5 anni invece era (14,4%) elevata (8,8% in Inghilterra e 7% in Francia). In Campania tra il 1867 e il 1879, dunque negli anni delle figlie di Michele e Raffaela, la mortalità infantile era ancora più alta (20% più della media nazionale) proprio tra i due e i tre anni d’età, quando in pratica moriva un bambino su cinque.
Poco dopo il matrimonio di Pietro e quello di Michele, e la nascita dei rispettivi primi figli, morì Salvatore Salvati, eppure i fratelli Gallo nel mese di aprile del 1867 riuscirono ugualmente a esercitare «il patto della ricompra» con la vedova, signora Angiolina Talamo, unica erede di Salvati. Pasquale, Michele e Pietro dettero la loro quota di soldi alle sorelle Caterina, Giuseppa, Tommasina, Marianna e furono queste ad andare da sole dal notaio Tavassi a stipulare l’atto di ricompra. Riuscii a ricostruire in dettaglio tutta la vicenda analizzando atti notarili successivi, perché invece i registri del notaio Tavassi negli anni della mia indagine erano inaccessibili [19.17]. Scelsero di fare così perché sembrò loro più corretto in una logica mista di riguardo e maschilismo che fossero le donne di famiglia a ricomprare una proprietà da un donna rimasta vedova. A proposito, essendo assai poco probabile che le quattro sorelle concorressero alla raccolta dei soldi, chissà se Michele ci mise una quota uguale a quelle di Pasquale e Pietro o se ci mise di meno. Non ho elementi obiettivi per dubitare, ma ho una vaga sensazione in tal senso.
Una seconda stranezza è che in quell’occasione fratelli e sorelle assegnarono a Marianna il quartino a sinistra del riposo fra il primo e secondo piano nobile ed il secondo basso a sinistra del cortile, stimati pari a un settimo dell’intera proprietà, e si riservarono di suddividere in un secondo momento il resto in sei quote uguali. Tutto si spiega con il fatto che i tre maschi cercarono di soddisfare, tacitare e togliersi dai piedi quella lamentosa e capricciosa di Marianna e per farlo puntarono alla “moral suasion” delle tre sorelle più grandi e più capaci a gestire l’ultima.
La successiva suddivisione in sei quote uguali della proprietà immobiliare di S. Maria Antesaecula 112 arrivò quattro anni dopo, nel febbraio 1871, con una scrittura privata. A Michele e Pietro fu assegnato in comune tra loro l’appartamento al secondo piano nobile a sinistra; a Caterina e Giuseppa, anche in comune tra loro, il terzo piano nobile a sinistra; a Pasquale il quartino a destra del riposo fra il secondo e il terzo piano nobile, oltre che l’abitazione a sinistra, il basso di fronte al cortile a destra dell’ingresso della scala e il terzo basso a destra del cortile; a Tommasina il quartino accessibile dal primo vano a destra del cortile, il sottoscala, il primo e secondo basso a destra del cortile ed il giardino.
Nel 1873 morirono nubili il 15 febbraio Giuseppa [19.18][19.19] a 63 anni e il 3 ottobre Caterina [19.20][19.21] a 68 anni. Con due testamenti segreti e simultanei, Giuseppa lasciò la nuda proprietà della sua quota ai tre figli di Michele, e l’usufrutto a Pasquale, Michele, Caterina e Tommasina; Caterina lasciò la nuda proprietà della sua quota ai figli di Pietro, e l’usufrutto a Pasquale, Giuseppa, Tommasina e Pietro.
Alla fine del 1875, per quanto detto, Michele e Raffaela avevano già avuto cinque dei loro sei figli, e tre erano morti; Pietro e Concetta avevano già avuto sette dei loro dieci figli, tutti vivi. La densità abitativa nell’appartamento comune alle due coppie era altissima. In casa c’erano bambini che piangevano, mangiavano, pochi dormivano. Raffaela si sentiva socialmente superiore a Concetta Gaudiosi; possiamo immaginare quanto fossero tesi i rapporti tra le due cognate e, di conseguenza, tra i due fratelli.
Allora, Michele e Pietro divisero in due sia l’appartamento in comune al secondo piano nobile a fine novembre 1875, sia quello al terzo piano nobile ereditato dalle due sorelle scomparse a metà marzo 1886, e lo fecero con due scritture private in modo tale che la metà superiore sovrastante l’appartamento di Pietro andasse ai figli di Pietro, e la metà sovrastante l’appartamento di Michele andasse ai figli di Michele. In quell’accordo, il terzo fratello Pasquale, il più saggio se non altro per la maggiore età e con un fortissimo senso della famiglia, rinunciò alla sua quota e si accontentò di abitare in due stanze e una loggia spettante ai figli di Michele, oltretutto pagando un affitto mensile di 18 lire. L’ingresso all’appartamento di Pietro era da via S. Maria Antesaecula 112, mentre in quello di Michele si entrava dalla perpendicolare via Montesilvano 13. Qui risultava domiciliato Michele nel 1886 [96.22].
Intanto Marianna, gelosa di tutta questa bellissima armonia tra gli altri sei e della sistemazione delle famiglie di Michele e Pietro, pentita dell’accordo sottoscritto, continuava a lamentarsi e minacciava di tutto. Nel 1876, nove anni dopo l’attuazione del patto della ricompra, «Pasquale e Tommasina, nello scopo di scongiurare una lite, che detta Sig.a Marianna voleva promuovere per lesione nello assegno» «nel nome e parte di tutti gli altri» «le cedettero il terzo basso a destra del cortile…» [96.23]. Solo allora Mariannina si placò.
Il 27 ottobre 1881 morì anche Tommasina [96.24], a 69 anni, pure lei nubile. Lasciò la nuda proprietà della sua quota a Michele e Pietro e l’usufrutto a Pasquale.
Sono ben consapevole quanto tutto questo racconto sia pesante, difficile da seguire e soprattutto da ricordare, ma ho deciso di farlo lo stesso perché ritengo che la storia sia molto istruttiva. Quando una famiglia subisce un trauma forte, specie quando i figli sono in età infantile o adolescenziale, com’era accaduto con la morte di Matteo nel 1833, gli effetti negativi sono terribili, ma si forma anche un collante che unisce per tutta la vita gran parte della famiglia, anche se non necessariamente tutta. Questo collante produce generosità, amore per i figli dei fratelli e delle sorelle, come fossero figli propri; accadde per Pasquale, Giuseppa, Caterina, Tommasina. E chi vive una vicenda come questa pone la massima attenzione affinché i propri averi, importanti o meno non è rilevante, siano ripartiti tra i nipoti con estrema equità, non per un sia pur lodevole senso di giustizia, ma proprio per affetto, un affetto maniacalmente bilanciato.
Alcuni amici avvocati un po’ più giovani di Pasquale presero a frequentare Carlo Cafiero, pugliese di nobile e ricca famiglia, il quale nel 1871 a Napoli entrò in contatto con il gruppo di Michele Bakunin e con l’intellighenzia rivoluzionaria, liberal-socialista e anarchica, facente parte dell’Internazionale di Carlo Marx . Cafiero era impegnato a fare proseliti a Napoli. Su un versante opposto, Giuseppe Mazzini avanzava proposte di fratellanza sociale inaccettabili per Marx che voleva la lotta di classe. Pasquale era però un tipo posato, conservatore e non capiva né gli uni né gli altri. E comunque non se la sentì proprio di legare tramite Cafiero con quei tipi che volevano distruggere la proprietà e la sua ereditarietà.